30 dicembre 2011

IL POSTO DEL CUORE: LA CITTA' DI FRANCESCO




E’ il posto che amo di più al mondo, dopo la mia casa.
Attraverso il vetro della mia macchina che corre verso un luogo che conosco e amo, in questa splendida giornata di fine dicembre, vedo la collina che amo tanto ergersi attorno alla natura del posto che come al solito mi sorprende sempre con il suo verde.
Gli ulivi sono la prima cosa che si nota arrivando, come le valli.
Di fronte a me,  la cupola dorata della Basilica di S.M. Degli Angeli, l’ampio sagrato e la statua della Madonna benedicente.

So che, come ogni volta appena entrata percorrerò quasi di fretta la navata centrale per raggiungere, quelle piccola chiesetta al centro, fatta di pietra scarna posata quasi ottocento anni fa dalle mani amorose di un piccolo fraticello.






La chiesetta ha il potere di calmare il mio cuore, spesso agitato e di farmi ritrovare la pace.
Si chiama Porziuncola e toccando quella pietra io ritrovo la serenità.






E’ il più grande luogo di culto d’Italia, il luogo che Francesco costruì per onorare il suo amore verso la Madre di Dio e verso tutte le creature del mondo.

Lui che non aveva mai fatto differenze alcune, che riconosceva come grandi due parole: pace e amore.

Se fosse vissuto oggi sarebbe stato perseguitato per la sua idea di uguaglianza.
Indicato come pazzo, perché riusciva a parlare e a farsi comprendere da tutti persone e animali.

E’ stato anche un fine letterato, con la sua semplicità ha ricondotto alla vera fede milioni di persone, che si erano perse in tutte le epoche che lo hanno succeduto.
Scriveva cose come queste:

Signore, fa' di me uno strumento della tua pace.
Dove e' odio, fa' che io porti l'amore.
Dove e' offesa, che io porti il perdono.
Dove e' discordia, che io porti l'unione.
Dove e' dubbio, che io porti la fede.
Dove e' errore, che io porti la verita'.
Dove e' disperazione, che io porti la speranza.
Dove e' tristezza, che io porti la gioia.
Dove sono le tenebre, che io porti la luce.


Lui che si era spogliato di qualsiasi cosa fosse riconducibile a possesso terreno, il più povero, il più ricco.

Un piccolo gruppo di uomini e una piccola fanciulla bionda di nome Chiara credettero in lui e lo seguirono.

Oggi sarebbe tacciato come santone e inviso dalla comunità.

Fu processato, su richiesta di suo padre, davanti alla Chiesa nelle vesti del vescovo di Assisi.
In quel momento abbandonò tutto e stranamente per una volta ebbe subito accoglienza all'interno della Chiesa.
Stranamente perchè di solito la potente Istituzione non accoglie così facilmente chi si differenzia dalla massa.

E infatti poco tempo dopo riuscì ad ottenere da Papa Innocenzo III l'autorizzazione alla sua regola di vita.


Francesco è per me, porto sicuro.

E mentre la Chiesa con la sua ottusità e le sue regole inappellabili, si allontanava sempre di più dall’uomo, lui riusciva a far balenare nel cuore di chi voleva delle risposte diverse, la luce del vero amore.
Quello senza compromessi, quello sincero.
Dove tutto è purezza, dove tutti sono uguali, e nessuno è escluso.
Gli insegnamenti fondamentali, quelli di Gesù.


Domani mattina, ultimo giorno dell’anno, che è stato così difficile e duro per molti di noi, andrò alla Basilica sopra Assisi.
E pregherò sulla sua tomba, anche essa tutta bianca e in pietra semplice come lui.
Non importa se attorno il business fa da padrone, non mi interessa.
Non è quello che prevale, perché io vi assicuro che nonostante tutto, qui si respira aria pura.
E’ non è suggestione.

Ma se tutte le volte che vengo sento di diventare migliore, un motivo ci sarà.


Basta così poco in fondo.

Basta amarsi.

Ed io questa sera, per il nuovo anno, vi auguro soprattutto tanto amore.

Ovunque voi siate.


Buon 2012 a tutti voi.






28 dicembre 2011

IL PRESEPE VIVENTE DI PIETRELCINA











Ogni volta che ritorno penso sempre che dare uno sguardo a questo capolavoro fatto di persone e di amore è  la conferma di un  miracolo che si ripete ogni anno.
Siamo ormai giunti alla XXV edizione.
Anche quest’anno il Comitato che se ne occupa ha fatto un’opera magnifica.
La prima volta è stata nel 1987 in occasione del centenario della nascita di San Pio, il santo nato in questi luoghi.

Un atto di amore dei suoi concittadini per ricordare il santo beneventano e Francesco D’Assisi.

Francesco infatti è stato il primo a rappresentare il presepe in Italia, facendolo diventare il simbolo più alto del Natale cristiano.
Anche San Pio, ha continuato ad amare moltissimo il quadro della Natività.

E ogni anno da allora, visto il grandissimo successo riscosso continua la rappresentazione nel rione Castello, antico borgo medievale di Pietrelcina.







Tutto viene ricostruito nei minimi particolari e rispettando la fisionomia dei villaggi palestinesi dell’epoca.
Man mano che si avvicina il tempo del Natale, le mura delle case del paese cambiano colore e aspetto.
Si arricchiscono di palme, rami, cespugli e paglia, sistemati in modo tale che vengano nascosti tutti gli i simboli e i mezzi del nostro tempo.
Al posto di porte e finestre, appaiono tende e stuoie.
Le illuminazioni all’interno delle case diventano più fioche, l’elettricità sostituita da candele e fiaccole.




Così i costumi molto semplici, che si differenziano solo per i colori, così le tuniche fatte di lino e lana, fatte con un unico pezzo di stoffa piegato e cucito ai lati con l’apertura per la testa e per le mani.
Le calzature tipiche, ovvero sandali con suola di foglia di palma o di giunco, poi sostituiti vista la difficoltà di avere la materia prima, con sandali di pelle.
Copricapi in stoffa, utili a proteggere sia dal vento che dal calore anche gli occhi e il collo.
Un pezzo di stoffa quadrata sulla fronte tenuto fermo da una fascia posta intorno alla nuca.

Subito dopo Natale nei giorni che vanno dal 27 al 29 dicembre inizia la rappresentazione.

Il percorso è prestabilito le scene sono le seguenti:

il  Mercato,
il Matrimonio
i Gladiatori
i Re Magi,
re Erode,
il Presidio Romano
il Tempio
i Frantoi
la Natività.
In ogni scena testimonianza del tempo passato sono anche i mestieri e gli strumenti utilizzati una volta.
Spesso sono eredità di nonni e bisnonni ceduti temporaneamente per lo spettacolo.









La cultura della mia terra è una cultura contadina, lavoro di campi e arte di mestieri antichi.
Il Presepe vuole ricordare anche questo, le nostre radici.

Il fiore all’occhiello è naturalmente, la Natività, che viene rappresentata nella stanza sottostante alla casa appartenuta ai Forgione, la famiglia di Padre Pio, che era adibita a stalla per gli animali e a magazzino.
La Sacra Famiglia è impersonata da coppie vere che negli ultimi mesi hanno avuto la gioia di vedere nascere una nuova vita.

Il miracolo della vita che si ripete ogni anno sotto gli occhi dei visitatori è qualcosa che lascia senza fiato.

Per la sua semplicità che lascia sgomenti.

Il miracolo che spero di poter continuare a vedere ogni anno, lì dove tutto si ripete ogni volta, e nei nostri cuori, come nelle nostre famiglie.

Vi abbraccio.



24 dicembre 2011

IL NATALE DI CASA MIA










La zona giorno della casa dei miei genitori è composta da due stanze adiacenti:

un soggiorno ampio dove si mangia quotidianamente, collegato con la cucina vera e propria che è 
uno spazio quadrato dove mia madre e noi, quando siamo con lei, ci alterniamo per cucinare quello che più amiamo.

Ma il regno della preparazione resta il soggiorno, dove troneggia un tavolo rotondo su cui avvengono i miracoli culinari.

Ed è lì che a turno ognuna di noi sorelle, mamma, e prima di noi, la nonna Carmela, ha preparato il dolce che rappresenta più di ogni altro il Natale: Gli Struffoli.







Secondo la storia, sono arrivati dalla Grecia, dove ancora oggi si preparano e si chiamano “Lukumates”, nome che genericamente indica le ghiottonerie, e la parola Struffoli deriva probabilmente dal greco “Strogguolos” ovvero tondeggiante.
I coloni greci che fondarono Partenope  ce li hanno portati e tramandati.
Essendo una ricetta molto semplice per gli ingredienti base, pasta fritta e miele, ho sempre pensato fosse molto antica.
Uno dei dolci più antichi della nostra storia.


Ecco la mia ricetta, a cui ho apportato alcune variazioni rispetto all'originale di mamma e nonna.


per la pasta:

400 gr di farina
4 uova
1 cucchiaino da the di alcool puro
1 piccola noce di burro
1 padella piena di olio extravergine d'oliva
1 cucchiaino di zucchero
1/2 limone grattugiato ( limoni di Sorrento )
a mio gusto grattugiato anche 1/2 arancia di Sicilia, mia variazione

per il condimento

300 gr di miele ( preferisco quello di acacia )
150 gr di zucchero
50 gr di diavolilli ( confettini bianchi )
50 gr di scorzette di arancia candite e cedro se piace ( mia variazione )
1 pizzico di sale






Con gli ingredienti suddetti preparate una pasta di media consistenza e la lasciate riposare coperta da un'insalatiera per un'ora.
Prendetene un pezzo alla volta e lavoratelo rotolandolo sotto le dita fino a formare un bastoncino più sottile di un dito mignolo che taglierete a tocchetti di mezzo centimetro di lunghezza da disporre sul tavolo infarinato;
friggeteli poi, pochi alla volta nella padella con olio a media temperatura finchè non doreranno.
Toglieteli e lasciate sgocciolare su carta assorbente.


In una pentola mettete il miele e lo zucchero con due dita di acqua lasciandoli bollire fino a quando il composto non diventa giallo.


A questo punto il fuoco deve essere diminuito e ci si versano gli struffoli con una parte dei canditi tagliati a piccolissimi dadini.

Mescolate molto bene, in modo che il miele li rivesta completamente.
Versateli poi subito in un piatto rotondo e con le mani leggermente bagnate con acqua fredda formate una ciambella ben compressa con un buco in mezzo.

Subito dopo, spargete i diavolilli e i confettini colorati.
Io aggiungo sopra fettine sottilissime di arancia candita.

La seconda parte è una mia variazione perchè mia mamma preferisce a questo punto condire con il miele
sul piatto di portata senza mescolarli in padella e poi decorarli.

Io ho trovato più comodo il metodo della cottura finale perchè ritengo che il miele si uniformi meglio.



Durano anche più di una settimana, se avrete l'accortezza di coprirli con cellophane.
E sono ancora più buoni con il passar del tempo.







                                                                                  BUON NATALE.........


                                                                              Naturalmente a modo mio.

                                                 IN VERSIONE ROCK E CON IL BOSS!







                                                         Cari amici vicini e lontani,


                                                                         quelli in città e quelli montani,
                                                                       quelli contenti e quelli divertenti,
                                                                         state cercando o avete trovato,
                                                                        dove passare il tempo incantato.

                                                                          Quello con luci e tanti colori,
                                                                           quello dotato di dolci sapori.


                                                                            Avete osato, avete gridato
                                                                             Avete corso avete amato,
                                                                            siete partiti e siete tornati,
                                                                          ma sempre di qui siete passati.

                                                                        In questo angolo del mondo
                                                                           Dove tutto gira intorno,
                                                                     potete guardare e potete sognare,
                                                                    scrivere e perchè no anche criticare

                                                          Vi lascio un piccolo augurio fatto di dolci parole:


                                                  TANTI CARI AUGURI DAL PROFONDO DEL MIO CUORE!





21 dicembre 2011

[MUSICA] UN COLIBRI' DI NOME WHITNEY






Avete fatto caso a quanto ha inciso nella nostra formazione quello che abbiamo studiato?
Per voi tanto? Niente?
Io sono stata educata a dosi di latino e greco tali che poi, per anni riprendevo tutti sull'accento di grandi del passato Esòpo, Pitagòra ecc...
e sfinivo altrettanto con i miei bei racconti sui miti studiati.

Amavo parlare delle Muse.
Le avevo studiate con passione.
Le nove fanciulle, figlie di Zeus e Memoria avevano catturato tutta la mia attenzione.

Poesia epica, Storia, Poesia amorosa, Tragedia, Commedia, Mimo, Danza e Astronomia.

Tra loro Euterpe la musa della poesia lirica, ovvero della musica.
Per tanto tempo ho pensato con certezza che la sua voce fosse quella di Whitney Houston.

Proprio di lei voglio parlarvi oggi.

Si fa le ossa, ovvero le corde vocali cantando nel coro gospel della chiesa della sua città.
Respira musica da sempre, sua madre e le sue zie sono il suo esempio.
Per qualche anno oltre a cantare, fa la modella, una delle prime di colore ad essere sulla copertina di riviste come Vogue, ad esempio.

Ma la  delicata nipote di una grandissima della musica soul americana, Dionne Warwick, aveva tutti i numeri per diventare una fulgida stella nel panorama discografico musicale, fin dal suo esordio.

Parliamo del 1985 e di una canzone con la quale sbanca How Will I Know, io la
seguo da allora ve la ricordate?


Se fossi stata un uomo me ne sarei innamorata.

Era frizzante come la sua età, come la mia.

Riusciva a farmi stare bene ogni volta che la sentivo o la vedevo.
Il suo dono, la sua voce magnifica e pura, dotata di un vibrato tale da consentirle tutto.
Quasi una cantante lirica.
L’ho adorata immediatamente.

Il suo primo album vende circa 30 milioni di copie entrando nel Guinness dei primati come l’album più venduto per una cantante agli esordi.
Per oltre 10 anni ogni suo album è stato un successo.
Non potrò mai dimenticare un fantastico Festival di Sanremo 1987 condotto da Pippo Baudo e lei magnifica che cantava dal vivo una delle mie preferite: All At Once



Riuscì con il suo miglior film  "The Bodyguard"a farmi trovare bello anche quel troncopiacione di Kevin Kostner, la cui miglior interpretazione secondo me è stata il morto nel “ Il Grande Freddo”!




Ma anche le favole migliori, e i doni che ci vengono donati alla nascita possono finire se non siamo in grado di proteggerli.

Lei, era fragile.
Troppo esposta come donna e come star.
Io non credo sia stata colpa di suo marito il suo precipitare verso il fondo velocissimamente.
E’ sempre in parte nostra la colpa se ci trascinano.

Se non sappiamo proteggerci, non credete?
Aveva un marito che la picchiava, ma perché non lo ha cacciato a furia di calci nel sedere fuori dalla sua vita?

Perché non siamo in grado noi esseri umani, quando vediamo il periodo di riconoscerlo?
Cosa ci spinge ad andare verso il fondo?
A farci del male?

Dipende tutto da noi, e non ci sono scuse.

Lei sta provando a rialzarsi, ma in realtà non è ancora fuori.
L’ultimo album del 2009 “ I Look to You” è stato un buon successo.
L’ha riportata in giro per il mondo.
Tour, apparizioni televisive, questa è quella ad X-FACTOR due anni fa.




Ma la sua voce, quello che amavo di più di lei non è più la stessa.

Si sforza quando canta, e non riesce a portare in alto la sua voce.

E’ stata graffiata, sporcata da anni di voragine.

Il mio colibrì preferito non mi incanta più.






17 dicembre 2011

EVVIVA O BABA' DELLE FESTE









Per me il Natale è casa, famiglia, mia madre che canta mentre prepara da mangiare.

E allora per festeggiarlo in gloria senza troppi fronzoli inutili, vi lascio la ricetta del Babà di mia mamma.

Abbiatene cura, perchè è preziosa, come il mio amore per lei.

Cercherò di fotografarla mentre lo prepara, così vi farò respirare un pochetto di casa mia.

Ricetta per circa 10 persone.


la pasta:
300 gr di farina
7o gr di burro
3 uova
un pizzico di sale
(125 gr di patate)
1 dado di lievito
1 cucchiaio da tavola di zucchero
(un poco di latte se volete)

il giulebbe e lo sciroppo:
450 gr di zucchero
circa un mezzo bicchiere d'acqua  o anche più dipende da voi di rhum
450 gr di acqua







Mia madre comincia con lasciare fuori dal frigo circa due ore prima le uova, il lievito e il burro.
Poi scioglie il lievito in un pochino di acqua tiepida.
Lo impasta con un pungo di farina e poca acqua e lascia lievitare, coperto, in un luogo tiepido a dire il vero lo lascia sul termosifone tiepido.

Poi in una terrina molto grande, prepara il resto della farina, il burro, lo zucchero e il sale.
Impasta tutto e poi aggiunge una alla volta le uova e il panetto di lievito ormai lievitato.

 La pasta potrebbe essere poco morbida, allora in questo caso lei  aggiunge un po' di latte e  la lavora energicamente, sbattendola con la mano, per farla staccare dalla terrina.



A questo punto unge lo stampo completamente; sistema all'interno la pasta pareggiandola per bene, copre e lascia in un punto della casa coperto e al caldo finchè non raddoppia il volume.

Abbiate pazienza nell'aspettare la lievitatura  il periodo può variare da un'ora a parecchie; il tempo dipende da tanti fattori, come la temperatura del luogo e della lavorazione; mia madre lo lascia coperto più di un'ora dopo averlo lavorato tantissimo.




Quando la pasta ha raddoppiato il volume fate la prova del dito: toccatela e se la sentite molto morbida e spugnosa allora è il momento di infornare.

Lei preriscalda il forno a 180° per dieci minuti.

Il babà deve cuocere per circa 3 quarti d'ora: dovrà apparire  dorato in superficie e asciutto all'interno.
Fa la prova dello stecchino, se dopo averlo introdotto lo tira fuori bello asciutto, è pronto.
Toglie dal forno, copre con un panno pulito e poi in una coperta di lana e  lo lascia riposare per oltre un'ora.


E' il momento di passare allo sciroppo:
per un minuto fa bollire lo zucchero e l'acqua, aggiunge il rhum e lascia bollire brevemente prima di utilizzarlo.

Direttamente sul babà con un cucchiaio versa lo sciroppo ancora caldo, poco alla volta, attentamente.

Finito il bagno, lo toglie dallo stampo e lo poggia sul piatto di portata.

Pronto!



Alla versione di mia mamma ho aggiunto un pizzico di Mariella.
Io vi suggerisco di unire all'impasto una patata lessata e passata due volte circa 125 gr.
Provate e scoprite il risultato!






Come nota bibliografica aggiungo che il dolce nasce in Polonia nel 1700 e poi introdotto in Francia dal re detronizzato Stanislao Leczinki alla corte di luigi XV.
Da quel momento si diffonde in tutta Europa.
Ma è solo a Napoli che avviene l'incantesimo dell'unione con il rhum e nasce la leggenda.

15 dicembre 2011

Emily Dickinson: il fragile e stupendo volo della poesia.


Il primo ricordo che ho limpido, di una mia prova di scrittura, è una poesia.
Scritta al buio su un pezzo di carta strappato dal quaderno di prima elementare.
Era una poesia tristissima, sono sicura di averla conservata in qualcuno dei miei diari di bambina, che mio padre ha messo via con amore.

Scrivo poesie da sempre, e lascio tracce ovunque.
Questo credo si capisca anche da come scrivo in prosa.
Difetto di pragmaticità ed effettuo voli pindarici con le parole.
Ma i versi sono il modo migliore con cui riesco ad esprimere i miei pensieri.
Non sono un granchè beninteso, non immaginatevi l’alloro attorno alla mia testa, ma mi piacciono sono parte di me.

Ho un amore immenso poi, per un piccolo scricciolo di donna che ha scritto versi così grandi da non crederci.

Ho bisogno di parlarvi di lei.

Inizio con le sue parole che amo di più:

Notti folli – Notti folli
Se io fossi con te
Queste notti sarebbero nostra voluttà!

Futili i venti per un cuore in porto
Niente più bussola, niente più carta!
Remando nell’Eden
Ah il mare!
Se in te stanotte potessi ancorare.


Parole così, scaturite dal cuore di una donna che mai in vita ebbe la possibilità di ancorarsi al porto dell’amore, fanno capire come la passione può essere coperta da mille crinoline e oscurate da tutti i pregiudizi del mondo, ma poi viene fuori, sempre.

La cosa sconcertante mentre mi avvicinavo a lei, era proprio scoprirla mentre piano piano si toglieva tutti i veli sotto i quali si era nascosta, e il fuoco che era dentro di lei sgorgava pienamente.
Io mi sono innamorata della sua energia, della sua ricerca della perfezione e del suo totale disinteresse per la fama.
Il suo amore per la natura è la costante sempre presente in ogni suo scritto.

La natura, il suo piccolo mondo, la sua casa, dove scelse di rinchiudersi dopo i 25 anni e la sua stanza.
La sua fissazione per la purezza, il suo vestirsi quasi sempre di bianco.
Il suo rapportarsi continuo con la morte e in contrapposizione lo splendore che nasce da ogni suo verso.

I suoi scritti vennero alla luce dopo la sua morte, sua sorella Lavinia trovò una scatola contenente la maggior parte della sua opera e comprendendone la portata si diede da fare affinchè fosse pubblicata, e questo avvenne dopo  soli quattro anni dalla sua scomparsa.

Ebbe solo due amori nella sua vita, nascosti a tutti:
il reverendo Charles Wadsworth, definito da lei stessa il suo più caro amico terreno e suo amore segreto;
sua cognata Susan Gilbert amica del cuore;

Vi lascio ancora qualche verso:


Sono nessuno! e tu?
sei - nessuno -  anche tu?
Allora siamo in due!
Non dirlo! Farebbero  rumore sai!


Che noia - essere - qualcuno!
Che cosa pubblica - come una rana -
dire il proprio nome - un lungo giorno di giugno -
a una palude ammirata!






CHE NE DITE DISCUTIAMO DI POESIA?

11 dicembre 2011

PARIGI NON VALE I PARIGINI






Il titolo dice già tutto sulla città che ho visto per la terza volta in questo lungo ponte di Sant’Ambrogio.

Vorrei raccontarvela senza parlare delle persone che è meglio.
Facciamo finta che sia vuota completamente e io vi racconto il viaggio un po’ pazzo di questi due eremiti nella capitale francese.

Il tempo ci spiazza, appena mettiamo piede fuori dalla metropolitana e ci giriamo intorno per cercare la strada che ci porterà all’hotel veniamo investiti da una raffica di vento e pioggia.
Come benvenuto non è male, la città si è adeguata alle persone?

Arriviamo in hotel, ottimo Holiday Inn, diciamo nessun charmant petit hotel visto il periodo siamo in economia, ci sistemiamo ed ecco la prima bella sorpresa.
La vista dalla camera mostra un canale navigabile con un piccolo approdo e un ponticello romantico che si alza quando passano i piccoli scafi che portano in giro i turisti.




Una chiesetta e un piccolo parco dove giocano bambini, immerso in un bel quartiere tutto bianco.
Un senso di pace e di benessere ci prende e torniamo immediatamente a sorridere.

Ci riposiamo e decidiamo di fare una piccola passeggiata dall’Opéra fino al Louvre.

Adoro quella meravigliosa piazza da cui le varie strade ( Rue ) si dividono come dei lunghissimi bracci di bicicletta e ognuno di loro ha in se un pezzettino di meravigliosa storia.

Arriviamo fino a Place Vendome e io mi perdo tra le vetrine delle più grandi gioiellerie del mondo.
Mi gira la testa mentre dall’angolo a sinistra passo accanto a Boucheron ( il mio preferito),
Van Cleef & Arpels, Chanel, Chopard, Cartier  e tra gli italiani, Buccellati, Damiani e Bruni.

Una concentrazione così alta di ricchezza come credo non ci siamo altri esempi al mondo.
Velocemente ci allontaniamo ridendo e commentando tra noi che forse per salvare l’euro basterebbe recuperare fondi direttamente dalle vetrine…

Andiamo verso il Louvre alle spalle gli Champs Elysèes con i suoi viali  illuminati dalle luci di Natale e la Tour Eiffel che ogni ora brilla come se fosse circondata da milioni di lucciole.




All’inizio delle Tuileries c’è la bellissima ruota panoramica anch’essa illuminata e ci chiediamo “ Ricordi quando la ruota era all’interno dei giardini?’”
Ricordiamo la prima volta a Parigi esattamente vent’anni fa allora più di adesso ci sembrò una città magica…

Il Louvre con la sua enorme mole sembra voler ingoiarci interi come ha fatto con i tesori (anche italiani) che nasconde al suo interno.
Giriamo a sinistra e entriamo nel Palazzo Reale, lì tra i cortili interni si nascondo splendide boutique di cui non tutti conoscono l’esistenza.
Entriamo nella boutique di Serge Lutens alla ricerca del profumo di mio marito, e subito dopo in quella di Didier Ludot.
La proprietaria di quest’ultimo ha un negozio vintage proprio di fronte dall’altra parte del cortile e non vi dico che tesori possiede.
Poi faccio un giro velocissimo nella boutique di Stella McCartney tra i suoi accessori e i suoi paltò.
Mi incanto davanti ad un piccolo cappottino verde e mio marito deve trascinarmi via quasi a peso.
Ci sono diverse gallerie d’arte e un piccolo negozietto di giocattoli retrò.

Ceniamo sul boulevard Haussmann e io attacco la prima tartare della vacanza.

Il mattimo dopo andiamo a visitare il cimitero di Pere Lachaise.
Vi sembrerà strano visitare un cimitero, ma le altre volte lo avevamo accantonato per dare la precedenza a musei e mostre.
Il Pere Lachaise è un monumento nazionale.
Visitato da milioni di persone ogni anno.
44 ettari e 70.000 tombe nel centro della città.
I più grandi, da Oscar Wilde  a Chopin.
Da Molière a  La Fontaine, Jim Morrison e Edith Piaf, Proust e Honoré de Balzac.
E’ stato un viaggio nella memoria, tra artisti che hanno cambiato il nostro modo di pensare e la nostra vita.
Per non parlare del monumento dedicato ai campi di concentramento e alla Shoah, olocausto non volontario.

I francesi mi piacciono più da morti che da vivi.

Il  pomeriggio lo abbiamo passato nel Marais, il quartiere dove vorrei vivere potendo scegliere in quella città.



Adoro Place des Vosges, i palazzi antichi che la circondano e tutti quei negozi vintage che sono la sua caratteristica.
Mi piace curiosare tra quei piccoli tesori, come ad esempio questo della foto.




Anche qui ci sono delle gallerie d’arte e guardate questo piccolo gioiello.





La sera abbiamo cenato in un piccolo ristorante nella zona del nostro albergo, dava sul  piccolo canale, e ci è sembrato quasi di essere a Venezia.
Nota di cortesia sul proprietario, estremamente cortese e gentile, una rarità.
La cena ottima, il pesce freschissimo, accompagnato da un vino bianco con tante bollicine. 
Ce lo siamo concesso, ma sì.



Il giorno dopo abbiamo fatto le cose classiche dei turisti più la follia di salire sulla ruota panoramica con un tempo da lupi.
Ma Parigi è bellissima anche sotto la pioggia  e la vista era in ogni caso da mozzare il fiato.




Girovagato tra gli chalet natalizi degli Champs Elysèes e poi via nei nostri negozi di dischi preferiti: Virgin e Fnac.
Quando ci troviamo all'estero mio marito cerca delle rarità dei suoi artisti preferiti, mentre io ascolto gli artisti che vanno per la maggiore perlopiù da noi sconosciuti.
Abbiamo portato a casa diversi CD,  ho comprato l'ultimo di Amy Winehouse e quello di un'artista di colore che non conoscevo: Betty Wright.
Ho sentito un duetto con Joss Stone da brividi e ho comprato il disco.
Poi anche due di Nina Simone che non avevo.

Ho ascoltato anche l'ultimo cd di Charlie Winston musicista inglese completamente sconosciuto da noi, ma dai francesi adorato.

Pomeriggio in Rue Saint Honoré, e limitrofi, e che ve lo dico a fare?

La sera cena in un  bistrot nell'arrondissement della Tour Eiffel, poi passeggiata fino a Champ-de- Mars e seduti su di una panchina del parco,  nonostante il freddo e la stanchezza ci siamo goduti la vista della torre bellissima e luccicosa.
Il mattino dopo, l'ultimo, il cielo azzurro e il clima mite ci ha immalinconito.
C'era troppa gente in giro e non potevamo più fare finta che non esistesse.





Abbiamo riso quando ci siamo ritrovati di nuovo in Place dell'Opéra e davanti al teatro un musicista cinese aveva portato un pianoforte a coda e suonava tra la gente che lo applaudiva piacevolmente stupita.









Ci siamo detti anche questo è Parigi!





 Vi lascio il brano di Betty Wright e Joss Stone,  colonna sonora di questo viaggio.


06 dicembre 2011

IL MONDO GIRA INTORNO A GIORGIA

Vorrei cominciare  parlando di una canzone questa:





Quando la sentii tanti anni fa guardai negli occhi mio marito e gli chiesi:
“ Cosa ne pensi? A me ha fatto scorrere brividi sotto pelle per tutto il tempo!”
Mi guardò a lungo e mi disse:
Mari, è straordinaria come tonalità e  voce ma avrà  tanta difficoltà a trovare il largo pubblico perché si capisce immediatamente che ama la strada più difficile, ovvero la nicchia.

La canzone vinse SanRemo giovani, Pippo Baudo disse nuovamente che era una sua scoperta e per lei si spalancarono le porte dello show business.
Sembrava facile, ma non lo fu affatto.

La ragazzina minuscola con una voce da paura e grinta da vendere, volle la strada più lunga, pezzi tecnicamente complicati e poco orecchiabili.

Era cresciuta cantando nei club pezzi soul e jazz accompagnando suo padre Giulio Todrani.
La gavetta era stata tanta e l'amore per quel tipo di musica imprescindibile.
Prima di arrivare al festival aveva già pubblicato due album con il produttore della grande Diana Ross.
Non avrebbe cantato canzonette, con tutto il rispetto per le canzonette.

Tornò a SanRemo subito dopo vincendo con "Come Saprei".


E il grande Elton John la volle al suo fianco durante un suo concerto a Roma, definendola una delle più belle voci al mondo.

E poi ancora Festival di Sanremo cantando "Di sole e di Azzurro".

Ma la mia preferita in quegli anni è Girasole.



Mi dava allegria e mi faceva pensare che stesse bene.
Sapevo che era innamorata e speravo fosse felice.

Ma era un amore complicato con un artista grande almeno quanto lei.

E mentre altre nate nel suo stesso periodo seguivano con grande successo la strada più facile e commerciale raggiungendo vette di popolarità mondiale, lei restava sempre lì, ad un passo dalla vetta con tanti riconoscimenti ma con un pubblico che non si allargava, non dominava.

E intanto io, che facevo parte di quel pubblico, mi chiedevo che cosa mi piacesse tanto di lei.

Le sue canzoni ti accarezzano, e ti colpiscono grazie all’armonia della sua voce e al suo virtuosismo.
La modula come uno strumento, tecnica e polmoni a iosa.

In fondo, sotto pelle, la sua fragilità.

Il suo non essere mai troppo a suo agio con quello che le accade e con il mondo che la circonda.

Intanto arrivano i dolori e sono mazzate,  tali da avere il potere di distruggere.

L’amore quello vero lo perdi, prima perché fare lo stesso lavoro e avere le stesse ambizioni non aiuta mai.
Poi, perché la vita stessa te lo strappa, si sa che gli dei vogliono con sè quelli che amano di più.

Quando lui muore sale sul palco del festival della musica di  Roma dedicato ad Alex e gli canta "Cambiare".


C’è buio profondo.

C’è il perdersi e l’impotenza.

Ma lentamente tra alti e bassi il lavoro  porta altri successi e conferma la sua dote di grande artista.

Scrive una canzone che diventa la colonna sonora di uno dei miei film preferiti:
La finestra di Fronte di Ozpetek.

"Gocce di memoria"ballata indimenticabile.





 Continuo a seguire la sua vita attraverso le sue canzoni.

Il successo c'è, riconoscimenti, premi, collaborazioni importanti con grandissimi artisti, album che registra in tutto il mondo.

Ma ogni volta che la vedo, nel suo sguardo noto quel velo di tristezza che l'accompagna da tanto tempo.

Un giorno però appare sorridente sulla copertina della mia rivista preferita e dice che, è pronta ad amare di nuovo e ad aprirsi finalmente alla vita, e magari ad un piccolo essere tutto suo.

Capisco che hai voltato pagina e ne sono felice.

Ora sei tornata.

Sei la più grande e lo sai, questa è la tua vittoria.

Come dici tu, E' L'AMORE CHE CONTA.




02 dicembre 2011

LA STANZA ROSA







I miei passi veloci risuonano sul selciato.
La stessa frase rimbomba nella mia testa continuamente, vorticosamente.

“ Io non potevo abbracciarti, perché tuo padre era geloso”.

Mi guardo intorno, vedo tanta gente che cammina, mi sfiora, mi incrocia e mi supera; non  mi vede.
Nessuno mi osserva, io sto urlando di dolore ma nessuno mi ascolta.

C’è quella stanza rosa bellissima, nel mio passato. Sono bambina e sono lì che siedo sulla poltrona mentre con una gamba a ciondoloni leggo uno dei miei libri preferiti, “Alice nel paese delle meraviglie”.




Alice è tutto quello che io non sono, curiosa attenta a tutto quello che la circonda, indomita.

Non sta molto a riflettere sugli accadimenti, si butta le prova tutte,  riesce a fare e ricevere risposte chiare e convincenti alle sue domande.


Io invece, sono un topolino, schiva e timidissima.
Le persone difficilmente mi notano, sono troppo prese da se stessi, dal loro egoismo e dalla loro superficialità.
In questo modo sono più esposte al mio sguardo che le soppesa e le giudica.





Rido di loro, spesso, rido della loro prosopopea.
Appartengono al  nulla.

Alcune volte la loro indifferenza mi colpisce e chinando gli occhi mi dico che un giorno quello che ho imparato osservandoli mi servirà per vendicarmi.
Delle loro risate, del loro scherno.

In realtà non ho mai chiesto nulla agli altri, compreso la  mia famiglia.
Ci sono troppi problemi da affrontare, troppo dolore.

Ho imparato a cavarmela da sola in ogni circostanza e quando sento che tutto mi sta troppo stretto, mi rifugio nel mio angolo rosa.

Lì dove sono una regina e immagino un futuro magnifico, pieno calore, di affetto vero e di amore.
Nel mio futuro è tutto splendido, tutti i miei sogni si realizzano.
Arriva anche l'amore che mette a posto le cose, che come la bilancia della giustizia mi restituisce tutto quello che non ho avuto.
Amore,  parola che conosco perché l’ho letta ovunque in ogni libro che ho consumato con voracità.
Accompagnata quasi sempre da tenerezza e da effusioni.

Il marito che accarezza la moglie; la stringe a sé, lei è l’unica.

La madre che abbraccia forte il figlio, perché  le parole non sono abbastanza e lei lo sa benissimo, attraverso le effusioni tutto quell’affetto che si ha nel cuore si riesce a dimostrarlo.




Talvolta i figli si stufano anche e arrivano al punto di rifiutarlo, perchè troppo.


E' Normale per tutti ma a me sconosciuto.

Non ci sono state quasi mai carezze e pochissimi baci.

Ho sempre pensato che con il mio atteggiamento ombroso e per nulla dolce, tutti e in particolare mia madre ritenessero fosse inutile lo sdolcinato e smodato uso delle carezze.

Non ne avevo bisogno,  ero chiusa nella mia fortezza immaginaria,  qualunque cosa ci fosse da affrontare, potevo farlo da sola.

Non avevo bisogno di aiuto.

L’osservare gli altri e leggere di vita, mi aveva reso dura e distante.

Diventai una roccia, fuori.






La domanda era stata coperta, e il bisogno di affetto negato.
Mi convinsi che forse era colpa mia, con il mio atteggiamento avevo allontanato il calore.
Non lo meritavo.
E non lo avevo avuto.

Si cresce lo stesso.


Poi una sera, dopo tanto ma tanto di quel tempo, mentre ci rovesciavamo un po' di rabbia addosso le chiesi: perché?





E lei mi rispose, con tutto l’amore del mondo e scossa dalla mia sofferenza, in quel modo.
Io che non ci avevo mai pensato, io che pensavo di non essere mai stata abbastanza amata.

Io, che stupida!!!

Lei, che mi abbracciava e accarezzava di nascosto, per evitare sfuriate terribili.
Che non è riuscita a stringermi mai abbastanza, soffrendo esattamente come me.

Io SO che non aveva scelta.

E se si può amare di più di quanto è possibile da quella sera io la amo di più.






Vi ho lasciato un mio piccolo racconto, scritto alcuni anni fa, prosa al posto della poesia.



Amore senza limiti e allo stesso tempo soffocato.
Tratto da una vicenda che mi era stata raccontata.
Aveva risvolti terribili e violenti.
Per evitare maggiore violenza anche fisica, la madre era arrivata a negare gli abbracci. 


 Anche  l’amore più grande del mondo, quello di una madre per un figlio  può avere infinite sfumature.
E generare molteplici sofferenze.

Cosa ne pensate degli errori che si fanno per amore?



"E c'è una parte dentro all'Africa che assomiglia a te
una leonessa coi suoi cuccioli che lotta sola per difenderli..."

Dedicato a mia madre, che amo immensamente.