24 maggio 2015

Grazie.




Grazie a chi in questo periodo non ha mai smesso di tenermi la mano.
Mi ha scritto, telefonato, mandato poesie.
Ha usato whatsapp, twitter e messaggi.
Grazie per le parole sincere, sentite, mai curiose.
Grazie per la bellezza che mi avete regalato e per l'affetto.
Per la presenza sul mio blog che non è mancata. Che mi consentirà in futuro di commettere meno errori.

Grazie per avermi fatto capire molto e fatto sentire tanto affetto.

Grazie per esserci stati. Per non avere voluto sapere di più, per avere compreso il mio silenzio.

Non so dirvi per quanto ancora sarò lontana.
Non riesco a darmi un tempo.
C'è ancora confusione e respiro affrettato.
Ma torno.
Ve lo prometto.



17 maggio 2015

Fragilità.


Sono nata fragile. 
Piccolo vaso di cristallo smerigliato, pieno di sbarluccichii dovuti ai riflessi di sole che amavo attirare a me mentre mi avvicinavo alla vita.
All'inizio docile, amante della poesia e di quella luce vivida che notavo negli sguardi di altri.
Più avanti, più grandi;  a prima vista infiniti.
Dolcezza e ritrosia, nelle espressioni, nei sorrisi, nelle giravolte del cuore. 
Piccolo e acerbo il mio cuore: eppure capace di slanci improvvisi da coprire con rossori accesi e involontari.
Amavo tutto: la pagina lisa e consumata di un vecchio libro di mio padre che mi aveva portato lontano.
La pasta lavorata a lungo che mia nonna preparava e trasformava in eccellente pranzo, tripudio di gusto per il palato.
La sciarpa profumata di mia madre, colore tenue e discreto come goccia ed essenza di lei.
I capelli lunghi e lisci di mia sorella, così puri, eleganti; eppur distanti dalla mia ingarbugliata realtà.
Le testa mora e quella bionda degli ultimi due nati, così vicine. Da proteggere.
Le ginocchia sbucciate, una cicatrice lungo l'arcata sopraccigliare sinistra: le frequenti cadute. Segni che ancora oggi mi ricordano la ribelle che convive in me.
Il suono di alcune parole sentite alla radio: di cui non comprendevo il senso ma ne amavo la musicalità piena, viva, che mi accendeva di gioia.
I tormenti successivi, dovuti alla strada sempre in salita e così faticosa, hanno fatto in modo che mi costruissi una leggera corazza.
Necessaria a proteggere il cristallo, ma non a nasconderlo.
E quando, una mano più decisa e crudele di altre si avvicina a toccarlo ecco che, come sempre, scatta la difesa. 
La corazza si anima, e come un'ascia ben affilata cala e colpisce.
A volte sbaglia, non sempre le mani decise sono foriere di dolore.
Il problema è che, di dolore ho colmo il pozzo. Non vorrei tracimasse portandomi di nuovo con sè.
Sapendo che è stata così dura ripartire l'altra volta. 
La fragilità mi appartiene in realtà, come un vestito amatissimo di cui conosco ogni cucitura.  Sta solo a me fare in modo che le cuciture mi rappresentino ancora per tutti gli anni a venire. Nonostante forbici estranee possano provare ad aprirle, per dare all'abito un taglio diverso. Cercando di arrivare al centro per snaturare la parte più profonda di me. Io farò in modo tutto questo non avvenga. Ed il vestito rosso continui a starmi perfetto addosso. 
Assieme al mio sorriso.


(@Mariella Esse  - tutti i diritti riservati)




07 maggio 2015

La mia città.



Cartina del Feudo Benevento - immagine web




La mia città è il posto dove sto bene, dove il cuore è quieto e le strade sono lunghe strisce amiche che accompagnano i miei passi.
La mia città brilla di sole sposato a pietre antiche, che risuonano di echi poetici e tragici, di musica potente e di cantori epici mai dimenticati.
La mia città volge lo sguardo all'orizzonte oltre un arco antico che congiunge tutti i passi verso un'unica direzione: Roma.
La mia città è stata schiava di barbari, di re stranieri e di papi. Ma ha costretto al giogo la razza che dominava il mondo.
La mia città è in una culla, protesa verso monti e boschi di noci misteriosi e profani, dove si intrecciavano balli e canti sacrileghi.
La mia città avrebbe voluto un po' di mare, ma si è accontentata di un fiume in cui il figlio di un grande imperatore trovò la morte.
La mia città ha un cielo lucente e venti carezzevoli.
E' lì dove resiste il mio amore.
Ovunque sarò è il luogo dove vorrò tornare.
(Mariella S.)

                                                       La mia città: Benevento.

Teatro Romano - immagine web

immagini prese dal sito di Benevento foto web - Rocca dei Rettori
immagini prese dal sito di Benevento foto web - Corso Garibaldi 
immagini prese dal sito di Benevento foto web - Cinta muraria Longobarda
immagini prese dal sito di Benevento foto web - Chiesa di Santa Sofia
immagine presa dal sito Benevento foto web - Fiume Calore
immagine presa dal sito Benevento foto web - Piazza Roma
immagine presa dal sito Benevento foto web - Arco di Traiano



04 maggio 2015

RECENSIONE:PAOLO ZARDI - XXI SECOLO.







Titolo: XXI SECOLO
Autore: PAOLO ZARDI
Editore: NEO EDIZIONI
Candidato al Premio Strega 2015


 I LUOGHI E IL TEMPO:


"Sua madre abitava ai bordi della città, al sesto piano di un palazzo di dieci che ne dimostrava venti, un armadio di cemento alto e stretto tappezzato di finestre, tapparelle rotte e parabole sulle terrazze. Da ragazzo anche lui aveva vissuto lì. Aveva una camera che divideva con sua sorella, stretta tra la cucina e il bagno. Dalla finestra vedeva il parcheggio di un'officina per pullman, un prato arso dove i tossici si davano il cambio, le gru delle case popolari mai finite e una distesa di abitazioni basse e traballanti che piani regolatori mafiosi si mangiavano tre ettari l'anno." (pag.13)


"L'odio di classe aveva lasciato il posto all'odio razziale che andava lasciando spazio a una forma inedita di risentimento primitivo, inclassificabile, destrutturato, totalizzante. La gente odiava la gente tutto il giorno, tutti i giorni." (pag.30)


"L'invasione degli extracomunitari, nei primi anni duemila,  - effetto collaterale di una prosperità consolidata - si era fermato da un pezzo: da qualche anno era iniziato il riflusso, un'era di evasioni silenziose. La gente spariva di notte, nel buio, lasciando case vuote, mutui appena firmati, frigoriferi non pagati. Il Paese si svuotava un po' alla volta, inesorabilmente: dalle frontiere osmotiche filtrava un percolato umano intriso di fallimento e rassegnazione. Scappavano tutti, anche i suoi coetanei." (pag. 39)




L'AMORE:

" Guardò il naso di Eleonore. La fronte, le orecchie. In che modo quella faccia era di sua moglie? In che modo l'amore passava attraverso quel corpo? Sapeva che da qualche altra parte - forse in una delle due Coree - avevano tentato il primo trapianto di cervello: era stato un fiasco da incubo, ma la strada era aperta, e prima o poi qualcuno ci sarebbe riuscito. E lui, che cosa avrebbe voluto conservare di Eleonore? Il corpo o quello che c'era dentro? Amare quella carne senza i suoi ricordi, o amare i suoi pensieri in un corpo nuovo e innocente? Oppure lasciar perdere tutto -  morire, dormire, sognare, dimenticare... Staccarle la spina e ripartire da zero." (pag.63)


" Tornando a casa non dissero una parola. Erano seduti dietro uno accanto all'altra immobili e guardavano fuori i giganteschi palazzi della periferia, le carcasse dei pullman bruciati. Dal lato di Miriam, il sol calava dietro un banco di nuvole grigie. Quando la macchina prendeva una buca, dondolavano un po', come le teste snodate che si attaccavano al cruscotto negli anni '70. Avrebbe voluto farli ridere ma non sapeva da dove iniziare. Eleonore aveva deciso di accoglierli con la voragine della sua bocca aperta come un cratere sulla faccia smagrita." (pag.74).

"Quando succedeva che lui amasse sua moglie e che sua moglie fosse amata da lui, si consumava un ulteriore tradimento. Tradiva sempre Eleonore, in entrambe le direzioni: tradiva il marito e poi tradiva l'amante con il marito, Ed era sua moglie, la sua unica moglie - aveva sposato proprio quella donna lì, su quella aveva puntato. Era la sua vita. Non ne aveva altre. Tutta la sua vita."
(pag.110-111)


LA SPERANZA:

"Superò la frontiera alle nove di sera. Aveva fatto bene a portare il cane.La sua vitalità era contagiosa. Alzò gli occhi al cielo: si intravedevano Orione, ancora basso, e l'Orsa maggiore. Avrebbe messo da parte un po' di soldi per comprare un telescopio a Marco, prima o poi. E prima o poi sarebbero andati in vacanza da qualche parte, d'estate, a guardare le stelle. La crisi sarebbe passata: forse sarebbero tornati a essere ricchi, forse si sarebbero accontentati di vivere in capanne sulla spiaggia. Non sarebbe stato poi così diverso. Potevano andare avanti e indietro: ciò che gli sembrò necessario, in quel momento, era iniziare a muoversi in qualche direzione... sarebbero sopravvissuti." pag.(136-137)


E' una recensione un po' diversa dalle mie solite, me ne rendo conto. Allo stesso modo sono sicura che non ci sia modo migliore di presentare PAOLO ZARDI se non attraverso le sue stesse parole. Le mie sarebbero superflue. 
Non andiamo troppo lontano nella nostra a volte vana ricerca di trovare chi, attraversando tempo e spazio, ci regali emozioni, riflessioni anche tragiche sul nostro tempo e sulla natura di noi stessi "poveri uomini". Grandi nomi, grandi parole, nazioni diverse. Ma la Letteratura nella sua forma più sublime, è molto più vicina di quanto possiamo immaginare. Lasciamo solo che ci colga liberi. Paolo Zardi ci riesce, perfettamente e amaramente. Senza negarci la speranza.


 LEGGETELO.



Note bibliografiche dell'autore.
Paolo Zardi - 43 anni ingegnere. Ama scrivere. ( tratto dal suo blog - GRAFEMI)

Pubblicazioni:

IL SIGNOR BOVARY - INTERMEZZI EDITORE - 2014
IL GIORNO CHE DIVENTAMMO UMANI - NEO EDIZIONI - 2013
LA FELICITA' ESISTE - ALET EDIZIONI - 2012
ANTROPOMETRIA - NEO EDIZIONI - 2010

Ha inoltre pubblicato diversi racconti per antologie di autori vari, tra il 2008 e il 2014.