30 novembre 2020

[INTORNO A ME] LA PAZZA LISTA DEI MIEI DESIDERI

 

Ho sempre avuto un'immaginazione molto fervida. Fin da ragazzina ho sognato di realizzare piccoli e grandi desideri, sperando di esaudirli prima o poi. Tutti belli, speciali e un po' folli, esattamente come me.

Allora vi propongo un gioco, facciamo una lista di cinque desideri praticamente impossibili che vorremmo realizzare e li indichiamo qui, cosa ne dite?

Parto con i miei:


5) SALIRE IN CIMA A MACHU PICCHU. Desiderio che coltivo fin da quando ero bambina. Mi agita l'idea di poter avere problemi di respirazione visto che si tratta di arrivare a circa 2400 metri di altezza. Ma non mi fa desistere dall'intento. Al massimo porterò con me una bombola di ossigeno!

DAL WEB

4) FARE SHOPPING SFRENATO SU RODEO DRIVE A L.A. Naturalmente indossando i mitici stivali di vernice che Julia Roberts calzava in Pretty Woman. Sembrerò una vecchia "passeggiatrice" nostalgica, ma si vede di tutto su quella strada. Potrei perfino passare inosservata😆

JULIA ROBERTS DA PRETTY WOMAN

3) CANTARE A SANREMO. Sì ragazzi, un desiderio che accarezzo da quando, poco più che bambinetta, "stracciavo l'anima" alla mia famiglia, col mio piccolo mangiadischi rosso e nero inventando  le parole di Yesterday e esercitandomi con la spazzola davanti allo specchio. Mio marito dice che, se ci fosse stata ancora la Corrida di Corrado sarebbe stata la "dimensione giusta" per me. Ma che ne vuol sapere lui che a Sanremo c'ha cantato davvero😎

Teatro ARISTON (dal web)

 
2) SFILARE PER GIORGIO ARMANI. Per me Re Giorgio è il top del top degli stilisti. Nessuno è come lui. Dire Giorgio Armani è riconoscere l'eleganza assoluta, il fascino inarrivabile. Naturalmente, con il mio fisico da silfide potrei permettermi di indossare senza batter ciglio e soprattutto senza respirare,  qualunque sua creazione. Come la meraviglia  indossata da Julia Roberts nel 2008 (sempre lei) sul red carpet del Gala Met, al fianco dello stilista dei miei sogni. Che poi il bianco sfila o è il nero?😜


JULIA ROBERTS E GIORGIO ARMANI (dal web)


1)VINCERE L'OSCAR PER LA  MIGLIORE INTERPRETAZIONE FEMMINILE DELL'ANNO. E qui potete pure ridere fragorosamente ma se sogno di cantare a Sanremo, sfilare per Giorgio Armani, indossare gli stivali di vernice di Pretty Woman, volete che mi fermi ad un passo dal podio? Ecchecavolo, magari me lo consegna pure Michael Fassbender, che faccio, ci rinuncio?


AND THE WINNER IS...



Ora aspetto i vostri, non dico cinque ma almeno uno voglio vederlo scritto nero su bianco nei commenti!

NON ABBIATE REMORE E OSATE!!!


PS: prendete questo post con leggerezza. Fa bene stemperare le preoccupazioni del periodo con il sorriso e qualche risata. Buon inizio settimana.

28 novembre 2020

SABATO DI POESIA: MI ASSOPISCO COSÌ IN PIEDI DI XU LIZHI




XU LIZHI (DAL WEB)



Mi assopisco così, in piedi

I fogli che mi stanno davanti leggermente ingialliscono
Con una penna vi incido neri ineguali.
Sono solo parole di lavoro
reparto, catena di montaggio, macchinario, tesserino, straordinario, stipendio….
Mi hanno addomesticato ben bene.
Non so urlare, non so ribellarmi,
Non so denunciare, non so biasimarmi,
Sopporto lo strenuo, in silenzio.
Quando è iniziata
bramavo solo quella grigia busta paga il 10 del mese
perché mi procurava una tarda consolazione.
Per questo ho dovuto levigarmi gli angoli, levigare le mie parole
rifiutare permessi, malattie, ferie
rifiutare ritardi, ritiri.
Me ne sto fisso alla catena di montaggio, come ferro, le mani come fossero ali
Quanti giorni, quante notti
mi assopisco così, in piedi.



NOTE BIBLIOGRAFICHE

XU LIZHI è stato un poeta cinese. Nato in Cina nel 1990 è morto nel 2014 a Shenzhen. Operaio elettronico  in una fabbrica del polo asiatico dell'informatica. Di lui si conosce pochissimo e l'unica sua raccolta di poesie è stata pubblicata postuma dai suoi amici, dopo il suicidio.  Era un migrante che spostatosi dalla sua terra di origine era arrivato nella grande città e lì aveva trovato lavoro. Costretto ad adattarsi a una condizione lavorativa umiliante, sottoposto a ritmi impossibili,  perché la disciplina della fabbrica tiene tutti  segregati  alla catena di montaggio e nell'impossibilità di avere contatti tra di loro.  Una vita senza possibilità di fuga. Le sue rime sono la conferma che il grande sogno industriale  cinese non esiste per la gente comune, in realtà  è solo un illusione. Si passa dalla speranza di un futuro possibile, alla certezza di essere solo degli schiavi. Attraverso le sue parole si comprende come la delusione sia via via diventata sempre più forte e la denuncia nei confronti di quel mondo che lo ha schiavizzato lo porterà   alla tragica conclusione della sua vita. Un vero e proprio assassinio sociale.



26 novembre 2020

RIFLESSIONI:DOVREI...

Mariellaesseci - riproduzione vietata

 

Sono seduta sul divano, una gamba ciondola nel vuoto, l'altra , accartocciata, è ben incollata alla seduta della chaise lounge. Mi arrotolo un ciuffo di capelli sul dito e intanto guardo la pila di libri davanti a me, facendo finta di concentrarmi sui titoli. 

Un attimo e  mi distrae il tramonto dietro la finestra del balcone. Le nuvole sono rosso fuoco, corrono come bambini al parco, non gli interessa per nulla il silenzio sottostante. Equidistanti da tutto, piano piano abbandonano il colore e scoloriscono. Qualche minuto ancora e non le vedrò più, mentre  la grande villa ottocentesca di fronte si accende di luci bianche artificiali che la fanno sembrare ancora più avulsa dal contesto, la città che si spegne. Non so cosa aspettarmi, ho già descritto i momenti di sconforto dovuti all
'aggravarsi della situazione. Ma oggi non voglio che l'incertezza prenda il sopravvento. Questo anno, se ci pensate, è volato via di corsa come un treno ad alta velocità. E ci ritroviamo attoniti quasi a destinazione senza sapere se, come e quando,  arriveremo in stazione.

Dovrei ma non chiudo gli occhi, voglio tenerli ben aperti: annotare tutto, non perdere un istante. Sentire dentro di me ogni cosa:  la riga che leggerò, la parola che udirò. Il rumore dei miei tacchi,  il profumo che sceglierò, la morbidezza di ogni abito che indosserò. Ogni giorno, tutti i giorni. Sarà ancora attesa, ma la riempirò di vita.











25 novembre 2020

ATTUALITÀ: 25 NOVEMBRE - GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE

 "Donne piccole come stelle

C'è qualcuno le vuole belle
Donna solo per qualche giorno
Poi ti trattano come un porno
Donne piccole e violentate
Molte quelle delle borgate
Ma quegli uomini sono duri
E quelli godono come muli
Donna come l'acqua di mare
Chi si bagna vuole anche il sole
Chi la vuole per una notte
C'è chi invece la prende a botte
Donna come un mazzo di fiori
Quando è sola ti fanno fuori
Donna, cosa succederà
Quando a casa non tornerà
Donna, fatti saltare addosso
In quella strada nessuno passa
Donna, fatti legare al palo
E le tue mani ti fanno male
Donna che non sente dolore
Quando il freddo gli arriva al cuore
Quello ormai non ha più tempo
E se n'è andato soffiando il vento
Donna come l'acqua di mare
Chi si bagna vuole anche il sole
Chi la vuole per una notte
C'è chi invece la prende a botte"
Enzo Gragnaniello - DONNA - 1989)


La canzone con la quale ho deciso di fare il punto per ricordare la GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE è stata scritta da Enzo Gragnaniello e pubblicata nell'album MARTINI MIA nel 1989. Lo sguardo acuto e sincero dell'autore sulla dolorosa questione mi è sempre piaciuto. Il suo condannare senza appello il dolore delle donne spesso causato da persone del suo stesso sesso la dice lunga sulla sua empatia e sensibilità. Per cui non smetterò mai di ringraziare Enzo per la canzone e Mia Martini per averla mirabilmente interpretata. Lei, che di violenza psicologica morì. La violenza psicologica è ancora più letale di quella fisica perché ammazza l'anima. E Mia Martini non riuscì mai a superare l'onda  del  male che le era arrivata dai pettegolezzi, dalle insinuazioni orrende ricevute dal suo ambiente. Un ambiente malato e subdolo.
"Solo in Italia sei milioni e settecento mila donne tra i 16 e i 70 anni, hanno dichiarato di avere subito, nel corso della propria vita, una qualche forma di violenza fisica o psicologica. Ogni tre giorni una donna viene ammazzata, nella maggior parte dei casi dal marito, dal compagno o dall'ex convivente. Durante la pandemia la situazione si è aggravata e moltissime donne non hanno denunciato le molestia e gli abusi. Le richieste ai centri antiviolenza sono state tremila in tre mesi contro una media mensile di milleseicento registrata negli scorsi anni. Facendo scendere la percentuale delle richieste di aiuti dal 78% al 28%."(Fonte: F)
OGNI ANNO TORNIAMO SULL'ARGOMENTO SENZA CHE NULLA CAMBI E SONO STANCA DI PAROLE. VOGLIO FATTI, VOGLIO CHE LE DONNE POSSANO SENTIRSI FINALMENTE AL SICURO. VOGLIO LA CERTEZZA DELLA PENA. VOGLIO CHE SI PARTA DALL'EDUCAZIONE DEI FIGLI. VOGLIO UNA SOCIETÀ DIVERSA. VOGLIO CHE SE NE PARLI TUTTI I GIORNI FINO A QUANDO LE COSE NON CAMBIERANNO. E VOI? 

RICORDO IL NUMERO  PER DENUNCIARE LE AGGRESSIONI FISICHE E PSICOLOGICHE: 1522 - ANTIVIOLENZA E STALKING

DONNE, NON ABBIATE PAURA. 


NE HO PARLATO ANCHE QUI:



23 novembre 2020

CRONACA: IL TERREMOTO DEL 23 NOVEMBRE 1980

 

Sono passati quarant'anni esatti da quella orribile sera del 23 novembre 1980.Una tragedia che sconvolse tutto il sud e in particolare la terra di mio padre: L'IRPINIA. Ogni volta che torno con il pensiero a quell'attimo lunghissimo (poco più di un minuto) che cambiò in maniera irreparabile anche la mia vita, il dolore ritorna come un boomerang. E il pensiero va a quei morti, più di tremila, tra i quali cugini, zii, amici d'infanzia. Novemila feriti,  oltre 280.000 sfollati. Tanti ritardi nei soccorsi.

Vi ripropongo su questa pagina, un mio racconto che fu pubblicato su Vanity Fair Italia e che nacque su ispirazione di un Insieme raccontiamo di Patricia Moll.



"Seduta ai margini del bosco sotto alla vecchia quercia spoglia rimuginava. Un peso le gravava sulla coscienza. Forse era giunta l’ora di liberarsene ma con chi parlarne? A chi rivolgersi? Chi avrebbe capito?
D’un tratto il tappeto di foglie ingiallite dall’autunno scricchiolò vicino a lei. Si voltò..."

Il mio seguito:

"Suo padre, con i capelli imbiancati dalla calce, le mani sporche e piene di graffi, il fisico provato ed un sorriso stanco, la stava osservando.
Erano stati giorni infernali, notti lunghissime e insonni. Da quella domenica sera che nel giro di un minuto scarso, le aveva portato via tutta l’infanzia.  Nulla del paese amato, culla delle vacanze estive, era rimasto al suo posto.




Conza della Campania  ante terremoto - immagine presa dal web 



La bella chiesa antica, nel mezzo della piazza, dove aveva passato “interminabili” ore con la nonna e le zie a dire il rosario. 

Le care case del centro storico, costruite con i risparmi e i sacrifici di chi era andato via giovanissimo per lavorare all’estero. Pietra su pietra, spesso con le proprie mani, mettendoci anni. E un giorno a tutta quella fatica avrebbe fatto sponda la soddisfazione di possedere un posto dove tornare, che fosse sicuro, che fosse casa. Dove invecchiare, vedere crescere i propri nipoti e la vita continuare lì dove era iniziata. Sostanza per le generazioni future. Famiglia.

Le stradine e i vicoletti che si arrampicavano a fatica fin lassù, alla cima del paese.

La cisterna dell’acqua, dominava la collina e la valle. Circondata da un giardino profumatissimo, che dalla primavera all’estate rimandava odore intenso di rose e di fiori dai colori sfarzosi, coltivati con cura dalle donne di tutto il paese.

Gli anziani del paese, che avevano visto due guerre, insegnavano a figli e nipoti i giochi di un tempo. Avevano istituito una piccola bocciofila. E d’estate, quando le famiglie si ritrovavano, dal pomeriggio fino alla sera, era un rincorrersi di gare, tra giovani e vecchi. Teste canute e teste scure si chinavano a misurare i centimetri tra il pallino centrale e le bocce, tra urla di gioia e “lievi” minacce. Poco distante, i tavolini di chi giocava a carte. Anche lì, giovani e meno giovani,  si scambiavano regole e poesia.

Ricordi e profumi che tornavano intensi, mentre lei sollevava lo sguardo verso l’alto non riconoscendo più nulla in quell’ammasso informe di pietre crollate. La cisterna muta dominava ancora la valle, ultimo baluardo doloroso di rimembranza. Sotto, l'istantanea della tragedia.



Conza della Campania - dopo il terremoto del 23 novembre 1980


Le lacrime scivolavano silenziose, mentre un pensiero fisso continuava a martellarle dentro.Poteva sembrare una cosa piccola ma per lei, in quel momento, assumeva un valore immenso.

Non ho fatto in tempo papà, avevo promesso ad Angela che le avrei  portato la mia Barbie Malibù, la mia preferita, per ringraziarla di tutte le estati in cui ho giocato con le sue. Assieme ai miei libri e ai quaderni per inventare  nuove storie.

Con un abbraccio lungo e intenso e un bacio sulla testa, il  padre la consolò. Stringendola forte raccontò del dolore, della rabbia della gente, della tristezza, della paura, del senso di impotenza di chi aveva perso tutto ed era rimasto solo. Di quanta gente era venuta da tutta Italia e aveva scavato a mani nude per salvare le persone rimaste sotto le macerie. Degli zii, degli amici che non c’erano più. Di quel minuto interminabile che aveva calpestato gli uomini.




Conza Scalo - il regno della mia infanzia,  dopo il terremoto


Del nonno, rimasto per quasi tre giorni vivo, sotto le macerie della casa di famiglia. Della gioia  provata dal padre e lo zio  nell'istante in cui erano riusciti a tirarlo fuori sano e salvo. Dei bambini, delle donne. Dello sgomento, dei ritardi nei soccorsi. Dell’incapacità dello stato di essere tempestivo. Della sofferenza. Di  quel nulla che aveva inghiottito tutto. Di questa Italia, piena di ferite, rassegnata a curarsi da sola. 

Allora e oggi.

Dedicato a tutti quelli che ho amato e che non ci sono più. Ai miei amici d’infanzia e alle corse nei campi di grano che non dimenticherò mai. Ai giochi lungo la ferrovia, tra i binari e sui treni in disuso. Alle migliaia di “campagne” e di avventure tra i boschi. Ai bagni nel fiume Ofanto, dalle acque limpide come cristallo. Ai miei nonni amatissimi. A mio zio. Alle mie estati.
A Conza della Campania.
All’Irpinia.



Alla terra che trema ancora lungo tutta la dorsale appennina. Alle Marche, all’Umbria, a tutta l'Italia centrale, ai  piccoli e meravigliosi paesi che fanno parte della nostra storia, della nostra vita. A chi non dormirà mai più a cuore libero. E ogni volta che la terra tremerà ancora, ripiomberà nell’abisso. Vicino o lontano che sia. 
Ad oggi che ho trovato la forza di raccontare. 



Voi cosa ricordate  di quel giorno? Ne avete mai sentito parlare?

22 novembre 2020

[RICETTE TRADIZIONALI] IL RAGÙ DI NONNA CARMELA


Immagine presa dal web


Oggi riprendo una delle mie rubriche più gettonate.  Le ricette della tradizione culinaria campana. La variabile è che si tratta di ricette di famiglia, tramandate da  quasi un secolo.

L'idea è scaturita da QUESTO POST, tra i miei più letti dell'anno, in cui parlavo di amore e cibo. Per me imprescindibili, perché, non si cucina se non c'è passione. E non c'è passione che la cucina non riesca a celebrare. 

La prima richiesta ricevuta, con l'imperativo URGENTE, è stata quella di Cristiana Marzocchi  del blog LILLADORO, che mi ha chiesto di "iniziarla" al RAGÙ napoletano, nella versione di nonna Carmela. Le ore di cottura sono circa sei. Mia nonna lo preparava il giorno prima per non essere troppo stanca e affaticata la domenica. Vi assicuro che il riposo notturno fa benissimo al suo sapore, provare per credere.

RAGU NAPOLETANO


Ingredienti: dosi per 6/8 persone

1 chilo e mezzo di lacerto; (taglio magro di spalla di bovino indispensabile per il ragù)

1 chilo di puntine di maiale; (da noi si chiamano tracchiulelle)

400 gr di concentrato di pomodoro; (io uso il concentrato Mutti)

200 gr di olio extravergine d'oliva;

200 gr di cipolla bianca tritata;

1 costa di sedano, solo la parte bianca;

300 cl di vino bianco; naturalmente io uso la falanghina delle mie parti.

2 litri di passata di pomodoro; sempre Mutti.

basilico e carote.


Procedimento

mettere in una pentola ovale la carne assieme all'olio, la cipolla e il sedano tritato. Coprire e far cuocere a fuoco bassissimo in modo da rosolare delicatamente la carne. Bisogna stare molto attenti a che la carne non si bruci e che si rosoli da tutti i lati. Dopo un'ora togliere il coperchio e alzare la fiamma. È il momento di aggiungere il vino bianco molto lentamente, in modo che si assorba bene e insaporisca la carne, evaporando piano piano. Subito dopo, va versato qualche cucchiaio di concentrato di pomodoro diluito con un po' d'acqua continuando a girare sugo e carne. Anche questo procedimento è molto lento, di circa un'ora,  in modo che il concentrato si assorba bene. Arriva il momento di versare la passata di pomodoro, una carota tagliata a pezzi e il basilico. Si porta a bollore tutto e poi si abbassa il fuoco al minimo. Ho ereditato da mia nonna e da mia mamma,  l'abitudine di girare il sugo con il cucchiaio di legno (cucchiarella). Per cui bisogna tenere l'attrezzatura a portata di mano, accanto al fuoco. E qui vi svelo un piccolo segreto, io l'appoggio  a parziale apertura del coperchio in modo tale che il vapore fuoriesca dalla pentola e  non si trasformi in acqua aumentando di volume il condimento. Inizia il lento pippiare (sobbollire) del ragù. Fuoco bassissimo per evitare che si attacchi al fondo. Bisogna tenere tutto sotto controllo, mai abbandonarlo, una piccola svista e va tutto perso. Poi dopo un'ora si tolgono le puntine, mentre la carne va lasciata cuocere ancora per altrettanto tempo.  Il sugo andrà lasciato sul fuoco per l'ora successiva. Poi si spegne tutto e si lascia riposare.

Il giorno dopo, un'ora prima del pranzo, si rimette la carne nella pentola e si lascia riscaldare, sempre a fuoco bassissimo, in modo tale che tutto si insaporisca nuovamente. 

A questo punto il ragù è pronto per condire la pasta.

La nostra tradizione prevede i ziti spezzati, ma andrà bene tutto quello che vorrete.

Immagine presa dal web



Altro piccolo segreto. A volte è necessario legare la carne prima di iniziare la cottura, in modo che resti molto compatta. Lo spago andrà tolto a fine cottura. Io la servo tagliata a fette e circondata dalle puntine, con al centro della verdura cotta. Che siano peperoni al forno o friarielli (broccoli napoletani).

Mi piace accompagnare il cibo che metto in tavola con un ottimo vino. Per la pietanza di oggi suggerisco un Aglianico beneventano IGP, nettare profumato della mia terra.


Buon appetito e alla prossima ricetta, in attesa di nuove richieste.



21 novembre 2020

SABATO DI POESIA: L'ABBRACCIO RIMANDATO DI DANIELE VERZETTI

L'ABBRACCIO RIMANDATO

Arrivo in ospedale
Covid19 ovviamente
Sono il prototipo perfetto della vittima 
I miei anni li ho e sono molti, 90

Peggioro
Sono assistito in modo impeccabile
Ma peggioro e mi mettono un casco in testa
Non proprio come quello da motociclista che avevo da giovane
Però fatico a respirare
E questo casco mi regala ossigeno

Una cosa non ti manca in queste situazioni
Il poter pensare
Ed allora mi rendo conto che ho avuto una vita intensa
Lunga e piena
E che posso anche suggellarla con la parola fine
Qui tra queste bianche mura di questa stanza asettica.

Lui è giovane
Capace 
E dall'animo buono
Lo fermo
"Lasciami perdere, ho già fatto il mio percorso
Dedicati a chi ha il diritto di fare il proprio 
Ed ha più anni davanti a sè"

Lui mi guarda 
Con gli occhi di un figlio che sta guardando suo padre
Scuote semplicemente il capo in segno di dolce dissenso.

Questo suo dolce "accanimento"
Porta i suoi frutti
Sto meglio, mi sto riprendendo
Gli devo la vita

I nostri sguardi si catturano reciprocamente
Un segno d'intesa
"Grazie Dottore" 
"Grazie a lei, non sa quanto le dobbiamo noi in realtà"  
Mi sento incredibilmente rispondere
E due sorrisi sostituiscono purtroppo
Quell'abbraccio che avremmo voluto scambiarci

Poco male
L'abbiamo solo ritardato, posticipato
Ho intenzione di vivere ancora a lungo 
E sicuramente a sufficienza
Per veder finire questa maledizione planetaria
Ed assaporare quel momento in cui ci incontreremo di nuovo
Per quest'abbraccio lasciato in sospeso
Per un abbraccio infinito di affetto e riconoscenza

Ho 90 anni
Quasi 91
Ed ho ancora più voglia di vivere adesso
Di quanta già mi animasse il cuore
Prima di arrivare qui.

Si allontana
Prosegue lungo la corsia
Continua il giro dei malati
Un ultimo sorriso commosso 
In attesa di quell'abbraccio
Solo rimandato.

DANIELE VERZETTI ROCKPOETA®


Note bibliografiche (qui)

Daniele Verzetti non ha bisogno di presentazioni.  Le poesie pubblicate sul suo blog L'ANGOLO DEL ROCKPOETA®, sono un appuntamento irrinunciabile per tanti suoi amici. Noi blogger e i commentatori che arrivano dalla rete. Di se stesso dice:

La mia anima è come un vulcano attivo ma quiescente. Può sempre risvegliarsi dal torpore apparente per eruttare lava di dolore, rabbia, passione e verità.

Capita che in rete lui si trovi di fronte ad episodi di vita raccontati nei blog e allora, dal suo cuore e dalla sua "anima", scaturiscono righe di poesie trasportate dall'onda delle emozioni provate. Come è accaduto, qualche giorno fa, leggendo questo mio POST.  Oggi sono veramente felice di ospitarlo nuovamente. La poesia nata dalla sua sensibilità è toccante, trascinante. Fotografa con un obiettivo macroscopico i sentimenti che hanno provato i medici e il signore comasco, durante la guerra intrapresa con il coronavirus. Una lotta senza esclusione di colpi, VINTA. A Daniele, va la mia stima e il mio affetto, per essere sempre capace di trascinarci con lui, sia quando affronta temi importanti e scomodi, sia quando la dolcezza dei suoi sentimenti arriva come balsamo necessario a restituirci speranza e coraggio. Sarebbe davvero bello che le sue parole riuscissero ad arrivare ai protagonisti della vicenda, Vincenzo Bello, il medico che con la sua equipe ha salvato il suo paziente e il signore di cui non conosciamo il nome che è potuto tornare all'affetto dei suoi cari.  



20 novembre 2020

LIBRI: LE SEGNALAZIONI DEL MESE


Editore: Feltrinelli
Collana: I Tascabili
Pagine: 231
Prezzo cartaceo: 9 euro



Paolo Rumiz ci racconta, con il suo stile dettagliato, il viaggio che ha fatto nel 2008. Seimila chilometri a zigzag da Rovaniemi (Finlandia) a Odessa (Ucraina). Una strada, tra acque e foreste, e sentori di abbandono,  che si snoda tra gloriosi fantasmi industriali, villaggi vivi e villaggi morti (dalla 4° di copertina). Ve lo segnalo perché l'ho trovato quasi eroico, il viaggio longitudinale dello scrittore triestino. Il suo sguardo è  acuto, pronto a cogliere ogni sfumatura dei paesaggi e dei personaggi che incontra. Esplorazione necessaria per chi ama percorrere strade e vivere profondamente  le persone incontrate.





Editore: Feltrinelli
Collana: I tascabili
Pagine: 141
Prezzo cartaceo: 8,50 euro

Giacomo Papi è uno scrittore divertente e irriverente. In un'Italia ribaltata, eppure estremamente familiare, le complicazioni del pensiero e della parola sono diventate segno di corruzione e malafede, un trucco delle élite per ingannare il popolo (dalla 4° di copertina). Sono stata catapultata nel mondo distopico  raccontato dall'autore con grande ironia. Il romanzo è breve ma riesce a strappare più di un sorriso amaro e riflessioni interessanti. Il problema è che non siamo poi cosi lontani da lì.

                                        
Editore: Neri Pozza
Collana: Bloom
Pagine: 192
Prezzo cartaceo: 17 euro

Santiago Amigorena nel romanzo narra la storia di suo nonno.  Vicente Rosenberg arriva in Argentina nel mese di aprile del 1928 con pochissimi soldi in tasca e una lettera di raccomandazione di suo zio per la Banca di Polonia a Buenos Aires. Ma ben presto, anziché diventare impiegato di banca, diventa un giovanotto argentino non ricco ma fascinoso, capace di arrangiarsi con affari più o meno equivoci. Impara a ballare il tango, comincia a frequentare la milonga, conosce Rosita, la sua futura moglie (dalla 4° di copertina). In realtà la storia che l'autore racconta è la storia di un silenzio, di un rifiuto radicale verso il mondo esterno. Vicente è ebreo e il giorno in cui riceve da sua madre, rimasta a Cracovia, una lettera che lo mette di fronte alla realtà dell'antisemitismo con tutto quello che comporta e con gli orrori che a quel punto diventano tangibili, perché coinvolgono la sua famiglia, ecco che gli crolla addosso tutto il mondo di false sicurezze che fino a quel momento si era costruito. Ritorna ad essere semplicemente un ebreo, lontano sì fisicamente dai patimenti della sua gente, che pur si rinchiude autonomamente in un ghetto interiore di sofferenza, da quale non uscirà più. Un libro importante, emozionante e duro. Un libro per capire, perché  continua ad essere fondamentale approfondire  gli orrori della Shoah. Ben vengano quindi, libri e autori così.


Le proposte di questo mese sono molto diverse fra di loro e descrivono in parte  quel che amo leggere. Metto al  primo posto  i romanzi, cronache di anime e di vita. Poi  i gialli, sono passata dagli autori stranieri che preferivo da ragazza, agli autori italiani, dai quali ormai sono completamente dipendente. Il fantasy invece, l'ho scoperto solo da qualche anno, colpa di Harry Potter. Ma è l'unico caso. Poi c'è l'horror. Non sono da King, preferisco i classici. Poe e Lovecraft, per fare due esempi illuminanti. Mi divertono i libri di viaggi che raccontano e bene, posti e genti diverse e lontane da me, in grado di trasportarmi lì dove, quasi sicuramente non andrò mai. E poi c'è l'ironia, quei libri in grado di farmi riflettere senza perdere i sorriso.


 E Voi, cosa amate leggere? E a cosa invece, non vi avvicinate mai?














19 novembre 2020

POSTITIZIE: IL TAMPONE SOSPESO

 

BASILICA DI SAN SEVERO - NAPOLI (FONTE WEB)


Questa rubrica sta diventando giornaliera.😀

È l'effetto che mi fa, in primis, leggere buone notizie, direttamente proporzionale alla pubblicazione sul mio blog.

Torno nella mia terra, nella città natale di mia madre: Napoli. Dopo avere osservato con raccapriccio e indignazione l'orrendo passeggio dei napoletani  sul lungomare di Via Caracciolo, in sfregio ad ogni senso di responsabilità, avevo deciso, dopo averli mandati a quel paese con vero piacere, di non occuparmi più di loro per un po'.

E invece, il cuore del popolo partenopeo, quello vero, non quello incoerente e irresponsabile visto nei giorni scorsi, ha saputo nuovamente sorprendermi.

Vantano un'antichissima tradizione di solidarietà e di amore per il prossimo. A ciò si deve una delle loro più belle e famose consuetudini: IL CAFFÈ SOSPESO. Nata, pare, per calmare le dispute  che spesso nascevano tra amici o parenti   al momento di pagare il conto del bar.  Nell'incertezza di chi dovesse o meno saldare, si lasciava un importo che includeva anche una somma messa  a disposizione per il cliente successivo, nel caso di un bisognoso.  E così, nel corso del tempo, questa bellissima iniziativa è rimasta e si è consolidata.  A Napoli è sacra, nella maggior parte dei bar c'è la cassetta (qui caffè sospeso) in cui finisce il "pensiero" altruista.  Negli ultimi anni, si è diffusa un po' ovunque.  Quando mi è successo di notarlo,  ho immediatamente sorriso complimentandomi con i baristi.

Lo stesso sorriso che mi ha strappato il venire a conoscenza della sua gemella: IL TAMPONE SOLIDALE E IL TAMPONE SOSPESO.  Nata nel quartiere Sanità della città partenopea, grazie all'opera dell'Associazione SAdiSA e del suo Presidente, Angelo Melone. Nella Basilica di San Severo (chiesa splendida) si sono organizzati con personale medico formato da volontari  per fare tamponi alla popolazione del quartiere. Il costo è di 18 euro. Ma per chi non può pagare (è uno dei quartieri più problematici e in difficoltà della città)  c'è il tampone sospeso. Chi se lo può permettere lascia un offerta per i meno abbienti. In totale, al momento, ci sono state 500 adesioni. Ma l'obiettivo è quello di raggiungere almeno diecimila test come primo step e di certo non vogliono fermarsi qui.

Il numero da contattare per prenotarsi è il seguente: 3792151320.  Poi si seguono tutte le direttive degli ordinamenti regionali.


Un'altra bella notizia che unisce il cuore solidale delle persone.





17 novembre 2020

POSTITIZIE: LA GIOIA DI NON LASCIARE ANDARE

 

Fonte: Qui Como

La buona notizia di oggi è dedicata alla vicenda di un signore di 90 anni del comasco, ricoverato per Covid al Lanzo Hospital  di Alta Valle Intelvi. 

Pensando che per lui non ci fosse ormai più nulla da fare e vista l'attenzione che ognuno dei medici e del personale sanitario gli dedicavano, ad un certo punto ha chiesto al responsabile del reparto, il dottor Giuseppe Vallo, di lasciarlo andare, di non perdere altro tempo con lui e di dedicarsi a chi era più giovane, perché lui aveva già fatto tutto nei suoi 90 anni di vita.

Lo racconta in prima persona il dottore sulla sua pagina Facebook

"Sei entrato il 01 Novembre nel nostro reparto... quando ho letto la tua data di nascita ho subito notato che hai solo 8 giorni in più di mio papà e quindi presto farai i 91 anni.Il secondo giorno l'ossigenazione era così bassa che ho dovuto metterti un casco cpap con una percentuale di ossigeno del 100% (considerate che quello che respiriamo è il 21%).Mi hai stretto la mano e mi hai detto: " dottore ho fatto tutto quello che volevo nella mia vita ho 90 anni lasciami andare".Il tuo sorriso e la tua dignità mi hanno stretto il cuore così forte che mi sembrava che fossi io quello a cui mancava l'ossigeno.Abbiamo lottato insieme, sono riuscito a farti vedere con un telefono i tuoi parenti, gli infermieri si sono presi cura di te, gli oss hanno fatto con amore il loro lavoro , gli addetti alle pulizie hanno pulito sempre la tua camera e oggi dopo 15 giorni ti abbiamo tirato fuori dalla camera intensiva e sei li bello come prima.. hai ripreso a camminare,con l'aiuto super dei nostri fisioterapisti, e cerchiamo presto di mandarti a casa.Ci hai ringraziato così tante volte ma, la verità, é che noi dobbiamo ringraziare te perché tu ci dai la speranza e la voglia di continuare ogni giorno a lottare.Noi abbiamo salvato te e tu hai salvato noi..E io mentre ti accarezzavo la testa per farti coraggio ho visto mio papà e il mio adorato nonno sorridere..»


Ho immaginato la pacatezza  e fermezza nello sguardo di quell'uomo mentre chiedeva al medico di smetter di curarlo. L'ho immaginato come se, al suo posto, ci fosse stato mio padre, che ha solo tre anni di meno. E ho sentito  forte la stessa emozione che avrà provato Giuseppe Vallo. Compresa la maggiore determinazione a volerlo salvare, a tutti i costi. Perché quel signore rimasto anonimo è il papà, il nonno di tutti noi. Anche del dottore. E nessuno di noi vorrebbe mai che qualcuno così fragile e anziano, decidesse per il bene altrui di farsi da parte. E se questo accade per colpa di un tremendo virus e noi non siamo in grado di proteggere chi ci ha dato la vita, vuol dire che la guerra stiamo rischiando di perderla.

La mia stima infinita va al medico e alla sua equipe che non si sono arresi e hanno gioito per essere riusciti a salvarlo. 

Abbiamo bisogno di notizie così, per non arrenderci.