30 dicembre 2015

Altro giro, altra corsa.





Domani sera a mezzanotte, sarà passato un altro anno.Sono contenta, quello appena trascorso non è stato poi così malvagio come si preannunciava, esattamente un anno fa. Però è stato complicato.

Mi ha dato quello che poteva ed io ho preso quello che dovevo.
Molto o poco non ha già più importanza.

Non tiro più somme, lo facevo a vent'anni, quando i giorni e i mesi scorrevano veloci pieni di idee e di passi da fare.
Oggi mi accontento di me, di quello che sono.
Con tutto quel bagaglio di errori che mi sono regalata.
Con quel pizzico di egoismo che dovevo raggiungere. Altrimenti mi sarei ritrovata chissà dove o come... forse travolta e dispersa.

Quando ero bambina chiudevo gli occhi ed esprimevo un desiderio, almeno uno, che avrei provato a realizzare...
Se ci sono riuscita non me lo ricordo neppure.
Però ricordo tutti i fallimenti.Tutte le cadute e le volte che mi sono rialzata.

Sono un bagaglio fondamentale. Servono a tenere la testa ben alta e l'occhio vigile.

Sarà quello che vi augurerò.

Che il ricordo delle cadute fragorose e le risalite  vi aiutino nel realizzare ciò che desiderate. O semplicemente, a vederci più chiaro. Certo, non vi preserveranno da nuovi errori e passi falsi, ma spero vi siano di stimolo per andare avanti, con coraggio, consapevolezza e un pizzico di incoscienza.
Quello che ci vuole.

Buon Anno amici miei.





27 dicembre 2015

Il tempo del Natale che verrà.








Non so come sarà il Natale che verrà.
Se ci saranno le stesse curve morbide, gli stessi baci cioccolattosi, le identiche voci così familiari.
Se ci stringeremo ancora alla stessa tavola, se riusciremo a stare sereni come poche altre volte è successo.
Se sentirò  lo stesso odore e guarderò dallo stesso vetro.
Con l'identico cielo azzurro che una primavera arrivata in anticipo ci ha donato.
La calma di un pomeriggio passato abbracciati su di un divano a vedere un vecchio film di Verdone.
Se potrò dire ancora buonanotte mamma e papà.
Se il caos assurdo e lo scarto dei regali avrà  lo stesso rumore.
Se ci saranno  nuove tombole da giocare assieme, vicini vicini.

Sono malinconica lo so.
Ma metto in tasca una conta di giorni diversa.
Brevi, manciate di minuti da godere intensamente.
Con il vento di vita spesso brutale che ha deciso di dare una tregua. 
E' rimasto fuori dal vetro, ci siamo guardati e ha deciso di trasformarsi in brezza.
Almeno per un giorno.
Domani tornerà a reclamare e a pretendere il suo dazio.
Oggi mi ha lasciato per un istante ancora, un dolce maestrale.





23 dicembre 2015

La dolce ballata del muschio e del Natale.






Attraversano il bosco in fila indiana. Quattro berretti di diverso colore. Avanti al gruppo due spalle massicce e tanta sicurezza.

Berretto Rosso avanza decisa, conosce bene la strada, fatta e rifatta molteplici volte negli anni passati. Fa freddo e si avvolge la sciarpa del medesimo colore, almeno tre volte attorno al collo. Ha guanti bianchi e rossi fatti di lana pesante che riscaldano bene le sue mani fredde.
Ogni due minuti si gira per controllare il resto della truppa, ha il passo veloce e sempre timore di andare troppo avanti.

Berretto Blu insegue a fatica. E' esile, incerta nel passo. Avvolta in uno sciarpone dello stesso colore guarda fisso a terra per paura di incontrare ostacoli. Non ama quelle spedizioni e sarebbe rimasta volentieri a casa, al caldo. 

Berretto Verde canticchia ad ogni passo. Ha lo sguardo irridente e burlesco. Si perde osservando tutto quello che lo circonda e la sua risata e le sue battute sono contagiose. L'oggetto delle sue burle è spesso l'ultima della fila.

Berretto Azzurro, dietro tutti, è imbronciata. Sopporta gli scherzi continui di berretto verde e oltretutto ha un freddo porco. Guarda il resto del gruppo che la precede, vorrebbe fermarsi e aspettarli lì. Certo e poi? Potrebbe perdersi e allora preferisce continuare. Non molla mai.

Spalle Massicce si ferma, ha individuato il posto giusto, il verde brillante e la consistenza giusta.
Berretto Rosso adagia la cassettina di legno portata con sè accanto all'albero che delimita il punto.
Tutti e quattro si guardano e piano, seguendo le indicazioni di spalle massicce, colgono bei pezzi di muschio profumato. Lo osservano e cercano di tirare zolle quadrate e più regolari possibile. Sono attentissimi perché già pensano a come utilizzarlo e dove posarlo al rientro.

Poi la discesa è facile. 

Arrivano a casa con un trambusto infinito. Le voci si accavallano mentre cercano di spiegare  a Dolcezza Profumata quello che hanno trovato e cercando ognuno di loro di appropriarsi il merito di avere colto i pezzi migliori. Dolcezza li osserva sorridendo. Toglie loro tutti i berretti. E accarezza le teste di diversi colori, una ad una. Poi li porta lì dove sta nascendo il presepe di quell'anno.
Delicatamente posano le zolle ognuna al posto giusto. Un profumo intenso di bosco si spande per tutta la casa. 
Il cielo è già posato, ad ogni stella corrisponde una lucina. La carta roccia ha formato colline e montagne. Il muschio viene a completare il paesaggio. Poi i pastori del nonno verranno presi dalla loro bella scatola e inseriti ognuno al suo posto, come ogni anno.  
Cappello Rosso dai riccioli indomabili pretende il suo laghetto, colpa di tutti i libri che legge. Ma Jo March andava a pattinare sul lago ghiacciato ogni Natale, perché non ci può essere anche nel suo presepe? Difficile farle capire che un lago in Africa è come un miraggio, con ochette e papere poi, assolutamente impossibile. Ma lei non cede e si farà il laghetto con lo specchio che dolcezza usa per truccarsi. 
Cappello Blu invece, vuole la neve. E senza aspettare alcuna replica corre in cucina e  prende una manciata di farina dalla dispensa. Ne vede così poca che almeno ci sia nel suo presepe.
Cappello Verde poi, vuole indiani e cowboy. E pure il ranch. Ottiene che due indianini si affaccino sulla collina quasi a vegliare la famiglia nella capanna.
Cappello Azzurro vuole un mare di angeli. Di tutti i colori, con abiti leggeri e mani giunte. Li piazza ovunque dicendo che nella vita non se ne ha mai abbastanza.




E' tutto pronto mentre giunge la sera.
Si provano le luci e magia... una pioggia di colori ad intermittenza, illumina la stanza e la scena. 
I quattro berretti di diverso colore rimangono in piedi a lungo, a bocca aperta. 
Ogni anno è lo stesso, le lucine si riflettono risplendendo nei loro occhi. Le guance arrossate, il sorriso che aleggia sulle labbra di ognuno di loro. Cantano sussurrando parole antiche.

Spalle Massicce e Dolcezza Profumata, li osservano dalla retrovia.
Quanta fatica quei bambini e quanta gioia. 
Vorrebbero che istanti come quelli potessero durare per sempre.
E sarà così  fino a quando quei Natali prenderanno vita nei racconti di Berretto Rosso. 
Che sa bene quanto la scrittura sia potenza e memoria.


Buon Natale a tutti voi amici miei.






16 dicembre 2015

I LIBRI DEL MESE: DICEMBRE.




Gabriele Romagnoli: SOLO BAGAGLIO A MANO.




Autore: Gabriele Romagnoli
Titolo: Solo Bagaglio a Mano
Edizioni: Feltrinelli
Pagine: 87
Prezzo: 10 euro














Conosco e stimo l'autore e giornalista bolognese da molto tempo. Seguivo i suoi editoriali su Vanity Fair e il suo blog quando era direttore di GQ. I suoi viaggi attorno al mondo e il suo vagabondare di vita da una nazione all'altra, da un continente all'altro. Ho voluto visitare un po' di mondo dopo averne letto sui suoi articoli; ci sono angoli meravigliosi di Manhattan che ho scoperto e amato grazie a lui. Sempre in perenne movimento, sempre alla ricerca di qualcosa sperando di non ingombrare senza essere ingombranti. Ho letto molti dei suoi libri e apprezzo il suo stile scevro, privo di fronzoli che arriva diretto al punto. Senza sospensioni. Senza incertezze. Nel suo ultimo romanzo riflette sul significato della "dipartita", dell'addio definitivo. E lo fa partecipando ad un bizzarro rito-esperimento in Corea. Quello di fingersi morto e di farsi rinchiudere in una cassa di legno con addosso solo una vestaglia senza tasche (perché, come si dice a Napoli, "l'ultimo vestito è senza tasche") arrivando a storie, riflessioni, pensieri ossessivi che hanno a che fare con la moderazione. 
Il bagaglio a mano per esempio. Un bagaglio che è necessariamente indispensabile, poco propenso a spazio per accessori inutili, alla necessità della parola "senza". Ti chiede di scegliere. E in questo modo ci si stacca dal superfluo di questa nostra pazza cultura occidentale, troppo piena, molto inutile.
Quindi viaggiamo leggeri, per avere una speranza di salvezza. 

"Ogni vita è unica, anche nel non vissuto. E proprio perché unica non può consentirsi di fronte al bivio, di qua o di là, la risposta: in entrambe le direzioni. La non scelta porta alla tragedia. Come nei casi di Ziyad Jarrah e Salvatore Parolisi. Che l'esistenza sia unica non è un limite, ma la sua bellezza. Nel viaggio, eliminare dal bagaglio la "vita di scorta" è un'operazione necessaria e sacrosanta. Non ci sono due vite e una morte: i conti non tornano.
I limiti in generale sono un vantaggio, non un diminuzione delle possibilità.Se decidi di viaggiare leggero ti devi dare delle regole e le regole non complicano la vita, semmai l'opposto." 


Isabel Allende: L'AMANTE GIAPPONESE.



Autore: Isabel Allende
Titolo: L'Amante Giapponese
Traduzione: Elena Liverani
Edizioni: Feltrinelli
Pagine: 281
Prezzo: 18 euro













"Ci sono passioni che divampano come incendi fino a quando il destino non le soffoca con una zampata". Esordisce in questo modo nel suo nuovo romanzo, la mia scrittrice preferita. Mio corazon. Ci aveva lasciato con un thriller mozzafiato, Il gioco di Ripperin cui era stato evidente quanto la sua bravura e il suo coraggio sono incontenibili qualsiasi approccio allo scritto voglia dare. E ora torna nella sua solita veste, raccontando l'amore come solo lei sa fare. A cavallo del tempo e dello spazio, dalla Polonia della Seconda Guerra Mondiale alla San Francisco dei nostri giorni, regalandoci una nuova prova di quanto sia tutto possibile. Se passione c'è. Non è quel gran capolavoro della Casa degli Spiriti. Da tempo ormai non raggiunge più la grandezza di quelle pagine, bisogna riconoscerlo. Ma di sicuro è il genere in cui sguazza nel modo migliore. Chi la ama come me, apprezzerà al solito la sua grande capacità di farci pensare che comunque lo si chiami a volte, l'amore esiste. E arriva a tramortirci quando meno ce lo aspettiamo.

"A otto anni si era innamorata di Ichimei con l'intensità degli amori dell'infanzia e di Nathaniel con l'amore sereno della vecchiaia. Nel suo cuore entrambi ricoprivano funzioni diverse ed erano ugualmente indispensabili: era certa che senza Ichimei e senza Nathaniel non sarebbe sopravvissuta. Aveva amato Ichimei con veemenza, aveva bisogno di vederlo in ogni momento, di sgattaiolare via con lui nel giardino di Sea Cliff, che si estendeva fino alla spiaggia, pieno di stupendi nascondigli in cui scoprire insieme il linguaggio infallibile delle carezze."


Azar Nafisi: LE COSE CHE NON TI HO DETTO.



Autore: Azar Nafisi
Titolo: Le Cose Che Non Ho Detto
Traduzione: Ombretta Giumelli
Edizioni: Adelphi
Pagine: 342
Prezzo: 19,50  euro













"La maggior parte degli uomini tradisce la moglie per avere un'amante. Mio padre tradiva mia madre perché non si sentiva amato".  Se un romanzo parte così, in maniera diretta e amara, rivela dal primo istante che chi ci racconta la storia non ha alcuna intenzione di tralasciare o nascondere qualcosa. Con grande coraggio. Dopo qualche anno da Leggere Lolita a Teheran l'autrice tornò con la seconda parte della storia che racconta la sua vita e la sua famiglia. Nel mezzo la fine di un impero e l'inizio di una dittatura che allungherà i suoi tentacoli fino ai giorni nostri. Proprio accanto al paese in cui è nato quel gran buco nero che rischia di travolgerci tutti. Mi piace parlavene proprio ora, non è difficile immaginare perché.
Bisogna leggerla, per capire, per cercare di trovare alcune risposte ai nostri perché di oggi. Quel regredire che ci spaventa diventato il futuro di un intero popolo. L'unico? O possiamo ancora sperare?

"Raccontare era una passione di famiglia. Mio padre scrisse due libri di memorie, il meno interessante dei quali venne pubblicato e più di millecinquecento pagine di diari. Mia madre invece, ci raccontava le storie del suo passato, che di solito finivano così: Io però non ho detto una parola, sono rimasta zitta. Credeva di essere molto riservata sulla sua vita privata ma, a suo modo, non parlava d'altro. Non avrebbe approvato che io scrivessi un libro di memorie, soprattutto di famiglia, e del resto nemmeno io avrei mai immaginato che un giorno avrei raccontato dei miei genitori. Fa parte della cultura iraniana non rivelare le faccende private-non si lavano i panni sporchi in pubblico avrebbe detto mia madre; inoltre, spesso sono banali e non vale la pena di scriverne. Io non credo che si debba rimanere zitti. De resto, non restiamo mai davvero zitti, perché, in un modo o nell'altro, ci raccontiamo le persone che diventiamo".

















11 dicembre 2015

Scrivo perché.








Scrivo perché per tutta la vita non sono stata capace di fare altro.
La luce fioca nella mia stanza di bambina mi indicava la strada.
Ed io vergavo lentamente e con cura infinita i miei piccoli pensieri in evoluzione.
Lasciavo parole minime, semplici;  talvolta intense.
Che ora rileggendo mi allungano un sorriso di tenerezza.
Le grandi "effe" a mo' di fiocco che ingentilivano i messaggi.
E le "elle" il cui occhiello in alto sembrava volesse prendere al laccio la luna.
Adoravo le "esse" e le "emme" anima del mio nome e cognome.
Desideravo e attingevo attorno a me l'acqua necessaria...
Quella fonte limpida che non si è mai esaurita.
Col tempo ingrossata da affluenti generosi, 
Mi ha affrancata e stimolata.
Vorrei che ci fosse pienezza e rotondità nelle mie parole.
Che fossero ardite, generose e sapienti.
Struggenti per trascinare con sè chiunque mi ami.
Velenose quanto basta per allontanare chi mi odia.
Amorose per poter stringere le braccia attorno al collo di chi mi vuole bene.

Scrivo perché nella mia vita non vorrò fare altro.
Per illuminarmi ed illuminare.

(@MariellaEsse - tutti i diritti riservati)

# I MIEI PRIMI PENSIERI, IO SCRIVO PERCHÈ.








Scrivo perché per tutta la vita non sono stata capace di fare altro.
La luce fioca nella mia stanza di bambina mi indicava la strada.
Ed io vergavo lentamente e con cura infinita i miei piccoli pensieri in evoluzione.
Lasciavo parole minime, semplici;  talvolta intense.
Che ora rileggendo mi allungano un sorriso di tenerezza.
Le grandi "effe" a mo' di fiocco che ingentilivano i messaggi.
E le "elle" il cui occhiello in alto sembrava volesse prendere al laccio la luna.
Adoravo le "esse" e le "emme" anima del mio nome e cognome.
Desideravo e attingevo attorno a me l'acqua necessaria...
Quella fonte limpida che non si è mai esaurita.
Col tempo ingrossata da affluenti generosi, 
Mi ha affrancata e stimolata.
Vorrei che ci fosse pienezza e rotondità nelle mie parole.
Che fossero ardite, generose e sapienti.
Struggenti per trascinare con sè chiunque mi ami.
Velenose quanto basta per allontanare chi mi odia.
Amorose per poter stringere le braccia attorno al collo di chi mi vuole bene.

Scrivo perché nella mia vita non vorrò fare altro.
Per illuminarmi ed illuminare.

(@MariellaEsse2016 - tutti i diritti riservati)




Ripubblico questa poesia che tra le mie è stata quella scritta in pochissimo tempo, pubblicata senza correzioni, così come l'ho pensata.
In questo modo partecipo all'idea nata nel blog di Chiara Solerio "Appunti a margine" con questo post dedicato allo scrivere di getto.senza revisionare nulla.
Ho trovato davvero interessante la prova che cadeva a fagiolo per una come me, visto che la maggior parte dei miei post nasce così, da un pensiero che si tramuta in parole e poi va giù random, senza nemmeno supporre fin dall'inizio dove si andrà a finire.
E allora ecco, la poesia dedicata alle parole che scrissi una sera d'inverno, tempo fa, mentre avevo il cuore ingrossato da un pensiero di quelli pressanti, che ti tolgono aria e lucidità. Allora mi aiutò a calmare le onde della tensione e dello sgomento. Quel pensiero ogni tanto torna, ma lo ricaccio in fondo al buio dove deve restare, affinché io possa continuare a respirare.



08 dicembre 2015

[ATTUALITÀ] TEATRO DELL'ORTICA DI GENOVA: LA STRANITÀ DI GOVERNO E REGIONE


Il Progetto Stranità è una bella realtà dedicata al sociale in quel di Genova.  
Da oltre vent'anni si occupa di solidarietà puntando i riflettori su temi seri e importanti, dalla violenza sulle donne, alla realtà carceraria, ai problemi psichiatrici. Il tutto attraverso il teatro e con il teatro Dell'Ortica.  "Diversità". Diversi da chi poi ci si dovrebbe sempre domandare, prima di utilizzare quel vocabolo che in realtà non significa nulla tranne che pregiudizio.
Quest'anno è rimasto senza fondi: la Regione Liguria ha annullato, senza possibilità di replica,  lo stanziamento che arrivava tutti gli anni e che consentiva al gruppo di attori e alle persone coinvolte, di portare in scena il disagio sociale grazie al teatro attraverso una specie di catarsi collettiva. 
Non stiamo parlando poi di fondi consistenti: si era raggiunto un accordo che prevedeva circa ventimila euro l'anno ottenuti con l'avanzo di bilancio.
Certo, ora come ora che la Regione sta rinnovando parco macchine e arredi per il nuovo governatore, questi soldi serviranno di sicuro a coprire le altre spese. 
Tanto per essere molto chiari.
I ragazzi e gli attori non si arrendono: hanno puntato a tutti i social per evidenziare e contestare  questo nuovo (vecchio) scandalo in ogni modo e non si fermeranno di sicuro.
Racconteranno la loro storia attraverso sit-in di protesta in centro, organizzando delle vere e proprie invasioni teatrali.
Molto probabilmente, in attesa che la Regione accetti un incontro per discuterne, si dovrà necessariamente ovviare alla cosa cercando aiuti nel privato. Perché sempre più spesso qui in Italia, se non ci fossero aiuti e sovvenzioni di parte dei privati, molti progetti sociali sparirebbero. Sappiamo quanto la politica sia distante dalla gente comune. E quanto sia sorda a qualsiasi richiesta di aiuto.
Scollati e distanti dal mondo reale. Oggi più che mai.


Per saperne di più vi rimando ad alcuni link come questo


Ringrazio Ernest di "I Diari dello Scooter" che ne ha parlato per primo sul suo blog e mi ha consentito di far girare la voce pure attraverso il mio.
Si spera possa servire a qualcosa.


30 novembre 2015

Quello che mi piace e non mi piace: novembre.




Henrì Matisse" La Danza"  MET NYC - Foto Mariellaesseci





Torno con la mia non sempre piacevole lista delle cose che mi sono rimaste sul gozzo a novembre.
Nei titoli di coda qualcosa di buono.

Non mi piace la paura: siamo stati investiti dalla sua onda d'urto. Non mi piace che ne possiamo essere dominati dopo le vicende tragiche di questi ultimi giorni.
Mi piace la reazione, mi piace il ricominciare, mi piace il non cedere ai ricatti.

Non mi piace il dovere tacere ad un'amica una verità sgradevole.
Non mi piace il non trovare le parole giuste, quelle che (spero) faranno meno male.
Mi piace l'idea che il male minore non sia il silenzio.

Non mi piace il razzismo strisciante che si mostra ipocritamente in alcuni ambienti di lavoro: compreso il mio. Non mi piacciono i sorrisetti facili, gli apprezzamenti viscidi e il luccichio opportunista che leggo negli gli occhi di tante persone che sono costretta a frequentare. 
Mi piace pensare che un giorno e spero presto, riuscirò a mandarli tutti a fanculo.

Non mi piace che quest'anno sia più malinconica del solito aspettando il Natale: l'ultimo trascorso lo vorrei dimenticare e farò di tutto per riuscirci.
Mi piace se riuscirò a realizzare il desiderio mandando al diavolo  il  mio pessimismo cosmico.

E adesso i mi piace:

La lista dei regali di Natale: ho già cominciato, partendo dai bambini.
L'albero di Natale: ne ho preso uno altissimo per la mia nuova casa.Non vedo l'ora di addobbarlo. Dovrò salire sullo sgabello per infilare il puntale di vetro soffiato su in cima. E questo mi farà felice come quando ero bambina.
Mi piace passare una domenica intera a casa mia:  qualche ora a leggere poi  accartocciarmi addosso a chi amo e parlare di tutto e di niente.

Mi piace scrivere sul mio blog e continuare a rompervi le palle con le mie paturnie!

Stay tuned!





27 novembre 2015

PAZZIAMMO C' 'O SUONNO.



Luca De Filippo




Papà!
Sta voce soia
forte e lontana
arriva fino a me
zitta e vicina.
Papà!
Pè tutta 'a casa
'e notte
dint' 'o scuro
corre p' 'e stanze
pè se fà sentì.
Papà!

Ve sarrà capitato pure a vvuie
'e sta ancora scetato
quanno ' o suonno
pazzèa cu ll'uocchie vuoste,
e se mbruscina
pè copp' 'a pelle
e nfronte
e ncopp' ' e braccia
'e mmane
p' 'e spalle
e p' 'e capille...
E vvuie sapite
ca quann'isso pazzèa
sta cchiù scetato 'e vuie
pè ve piglià.
Cumme facite vuie,
facc'io c' 'o suonno.
M' 'o tengo amico,
già.
Pecchè, sapenno 'o tipo,
cumm'è prepotente,
faccio avvedè
ca saccio ch'è putente,
ca nun resisto a sti carezze soie...
Ma nun se fa fà scemo:
'o ssape
e aspetta.
Vence semp'isso,
perché sempe me piglia a tradimento.
Mentre 'o suonno pazzéa,
tanno
sta voce arriva:
papà!
E io l'aspetto.

Ma nun vene ogni notte.
Si nun vene...
che pozzo fà?
Suonno, pienzece tu, 
pazziàmmo nzieme,
ma senza pressa,
aspetta n'atu ppoco.
Sempe tu vince,
'o ssaie:
ma primma o doppo,
che male te pò fà?
Cumm'infatto è venuta...
Forte e lontana
e arriva fino a me
zitta fino a me
zitta e vicina:
Papà!

(1961 -  Eduardo De Filippo)


Sono andata a cercare questa poesia che ricordavo del grande Eduardo. Oggi che suo figlio Luca lo ha raggiunto.
La dolcezza e la tenerezza che traspaiono in ogni parola scritta dal grande padre ci fa comprendere meglio pure la grandezza del figlio.
Ricordo di avere visto Luca De Filippo a teatro un milione di anni fa, al San Carlo di Napoli, nella trasposizione teatrale della " Tempesta" di Shakeaspeare dalla traduzione  in napoletano che ne aveva fatto il padre nel 1983, un anno prima della sua morte, per Einaudi. Eduardo, oltre a tradurla dall'inglese utilizzando il testo tradotto in italiano dalla moglie Isabella, l'aveva registrata su audio, interpretando tutti i personaggi, escluso quello femminile di Miranda. Ma non era riuscito a portarla sul palcoscenico. Nel suo amato San Ferdinando. Ed era toccato poi a suo figlio coronare il desiderio del padre.

Ho amato molto Luca, specialmente nei suoi ultimi anni, così simile al padre perfino nell'aspetto fisico. Oltre che nella poliedricità  e bravura di attore e regista.

Un altro pezzo della "mia" Napoli che sembra allontanarsi da me, pur restandomi nel cuore.

23 novembre 2015

MIGLIAIA DI PAPAVERI ROSSI.




Immagine dal web




La collina una regina,
sulla cima una corona, acqua e vita.
La circondano strade, tortuose e virtuose.
Fatica nel salire, dolcezza nello scendere.
Rose profumate, coltivate nel giardino trionfale.
Inizio di tutto, tra amore e radici.
Dal terrazzo, si domina il mondo alla base.
L'infinito.
Per i bambini tracciato d'avventura,
per gli adulti sostanza e essere.
Lontano, in basso, macchie di verde e di azzurro.
Piccoli esploratori, con fazzoletto colorato al collo.
Campi di grano colto, gambe graffiate, labbra sporche di frutta selvaggia.
Passi lunghi e senza riposo.
Mille voci, avventure, fantasia.
Canzoni stonate lasciate ad eco distratti.
Ore di silenzio tra ami e canne scosse dal vento.
Pietre lisce, piatte, da tirare contro l'ombra del fiume amico.
Scintillante, promettente, carico di speranze.
L'acqua è trasparente come la ricerca fatta con la bellezza nel cuore.
Non troppo lontano il fischio di un treno.
Una strada ferrata da percorrere in bilico su piccole rette di ferro.
L'odore di un legno pesante, che porta tanta fatica.
Usato per costruirle ma anche per scaldare, d'inverno.
L'estate del ricordo, immutabile, perfetta.
Come un intero campo di papaveri rossi, cullati dal vento leggero.
Un ricordo che sarà protetto dal mio cuore per sempre.
Assieme al mondo che non c'è più.
Ma che resta quello più vero.
(Mariellaesseci-tutti i diritti riservati)


Trentacinque anni mi separano dalla fine della mia infanzia.
E il ricordo è lì, impresso nella fotografia dell'ultima estate.
Tra quelle persone e quei luoghi che un evento tragico ha allontanato da me.
Solo in apparenza.
Perché la culla del ricordo li sostiene vividi tra le macchie rosse del prato più bello del mondo.

IRPINIA, 23 NOVEMBRE 1980.