30 giugno 2014

L'amore conta.




Io e te ne abbiam vista qualcuna - vissuta qualcuna 
ed abbiamo capito per bene - il termine insieme 
mentre il sole alle spalle pian piano va giù 
e quel sole vorresti non essere tu 

e così hai ripreso a fumare - a darti da fare 
è andata come doveva - come poteva 
quante briciole restano dietro di noi 
o brindiamo alla nostra o brindiamo a chi vuoi 

l'amore conta 
l'amore conta 
conosci un altro modo 
per fregar la morte? 
nessuno dice mai se prima o poi 
e forse qualche dio non ha finito con noi 
l'amore conta 

io e te ci siam tolti le voglie 
ognuno i suoi sbagli 
è un peccato per quelle promesse 
oneste ma grosse 
ci si sceglie per farselo un po' in compagnia 
questo viaggio in cui non si ripassa dal via 

l'amore conta - l'amore conta 
e conta gli anni a chi non è mai stato pronto 
nessuno dice mai che sia facile 
e forse qualche dio non ha finito con te 

grazie per il tempo pieno 
grazie per la te più vera 
grazie per i denti stretti 
i difetti 
per le botte d'allegria 
per la nostra fantasia 

l'amore conta 
l'amore conta 
conosci un altro modo per fregar la morte? 
nessuno dice mai se prima o se poi 
e forse qualche dio non ha finito con noi 

l'amore conta 
l'amore conta 
per quanto tiri sai 
che la coperta è corta 
nessuno dice mai che sia facile 
e forse qualche dio non ha finito con te 
l'amore conta


(Luciano Ligabue)








Niente altro da aggiungere.

27 giugno 2014

Cosa mi manca





Jeanne Samary - Pierre-Auguste Renoir-1877 ( Museo Puskin Mosca) 

E' sulla rampa di partenza un'altra delle mie "famigerate" domande esistenziali.
Una piccolissima cosa.
"Semplicemente": quello che mi manca e mi piacerebbe realizzare.
La vita è un percorso lento, molto faticoso, con sprazzi di sereno che arrivano all'improvviso quando meno te lo aspetti.
Sei lì seduta, mentre bevi la tua tisana serale e non hai niente di meglio da fare che porti una domanda che in meno di un millesimo di secondo ti abbatte come un fulmine nel deserto.

Allora l'unica cosa che resta da fare, per evitare di andare in bagno e prendere le forbicine delle unghie e tagliare fino alla carne(mi capita quando sono particolarmente agitata), è fare una lista, semiseria.

Che sarà mai....

1) Quattro passi nel deserto del Gobi. Mi piacerebbe abbandonarmi alla sensazione di perdita assoluta di orizzonte. Pensando che sarebbe molto, ma molto peggio, rispetto a  quello che ho provato in Egitto anni fa. Dite che a piedi come Marco Polo, ci arrivo alla Grande Muraglia Cinese? L'obiettivo principale direi. Certo, se non stramazzo a terra prima.

2) Una visita ad un mulino olandese. Tulipani a gogò. Considerando il fatto che,non essendo in Italia, mica correrei il rischio di incontrare Rosina e tantomeno spagnoli che ci stanno dentro come il cavolo a merenda.

3) Riuscire ad entrare nei mitici studi di Abbey Road. Ci sono andata così vicino, ma così vicino l'ultima volta.

4) Passare qualche settimana in un villaggio di volontari in Africa. Non importa dove. Chi se ne frega se non conosco nulla di medicamenti e altro. A me interessa vedere e ricambiare quei sorrisi. Poi qualcosa di pratico riuscirò a fare. Ah sì, romperò le palle a tutti per portare anche dei soldi. Preparatevi.

5) Festeggiare i miei cinquant'anni con le amiche del cuore. Obiettivo una delle città che amo di più al mondo. Passare qualche giorno pensando solo a noi. Tra chiacchiere e risate.

6) Non pensare alla pace nel mondo, al politicamente corretto. Insomma mandare a cagare questo mondo fatto di veline e di tronfi politicanti di merda.

7) Ricominciare a suonare il pianoforte. Il violino no, quello non deve tornare.

8) Camminare senza meta a Milano, per una notte intera.

9)  Decidere di fare quella telefonata che continuo a rimandare.

10) Dire "ce la farò", invece che "non posso farcela".


Per famiglia, amore, cani, gatti&Co, non faccio elenchi. Loro ci sono sempre.



Il quadro di Renoir che apre il post,  è il mio preferito in assoluto. Quando lo vidi dal vivo per la prima volta,  subii qualcosa di molto simile alla sindrome di Stendhal.
Jeanne Samary, la sua musa, fu dipinta dal pittore in molteplici pose. E questa giovane attrice di poco talento, grazie a quello immenso del suo pittore, sopravviverà per sempre. Che culo.



Eppure è solo una faccia di me, perché il secondo mio quadro preferito lo lascio in chiusura.
Sembrano così diversi i due pittori, per stile, epoca e rabbia. Eppure per me sono e restano i più grandi.
Jackson Pollock è il pittore.
Fuori lista è il desiderio più grande e impossibile: possederli. O l'uno o l'altro. O tutti e due.
Sono pazza. Lo so.
E voi, siate un po' seri e un po' faceti...
Suvvia.


Jackson Pollock - Stenographic figure - 1942 ( Moma  foto MS)

24 giugno 2014

La schiava Isaura & whatsapp!









E' capitato per gioco. 
L'altra sera ero collegata al gruppo di amiche che ho su whatsapp e la Raffa, diabolica amica dall'aria angelica, ha tirato fuori dal cappello a cilindro una frase a proposito di quello che devono smazzarsi le donne e mamme che tornano dall'ufficio e trovano tutto ancora da fare: casa, marito, bimbi & co.
Esordisce dicendo: " VE LA RICORDATE LA SCHIAVA ISAURA?"
Un lampo e la memoria ricompone tutti i contorni, tornando indietro di almeno una trentina d'anni e  ripiombando nell'era delle telenovelas.
E allora è stato tutto un ricordare.
Partendo proprio da quella telenovela: La Schiava Isaura, la prima ad essere trasmessa dalla televisione italiana nel "oibò" lontano 1976. 




Brasiliana, come la maggior parte delle successive, fu un grandissimo successo.
E la storia di Isaura, schiava bianca nelle piantagioni di caffè, condusse in una valle di lacrime migliaia di persone che non si persero una puntata, come me.
Dando il via ad una febbre sudamericana che durò circa una ventina d'anni, qui in Italia.
Altro messaggio con faccina: e Ciranda de Pedra? Ma infatti! Ecco che viene alla luce dalle tenebre della memoria, la storia strappalacrime di Lucélia.




 Fanciulla dalla madre malata di mente  che finisce in collegio. In età adulta torna dal padre, pronta a riconquistare il suo amore e il suo posto, ma deve vedersela con quella strega della governante, segretamente innamorata del suo padrone, che le mette i bastoni tra le ruote per anni. Questa melodrammatica vicenda, appassionò migliaia di persone tra cui io, allora poco più di una bambina.
La serata su whatsapp (che devo dire è sempre ricca di stimoli divertenti) ha raggiunto vette auliche, perché poi ci siamo perse nei ricordi.

E vai con la successiva, ovvero Dancin' Days, con una Sonia Braga strepitosa nelle vesti della protagonista Giulia, che per fortuna sua poi, fece il salto sul grande schermo affermandosi come valente attrice di cinema e teatro. 







Ed eccoci a Cuore Selvaggio. L'ultima che io mi ricordi di avere visto. Ma per la miseria il gioco valeva la candela,  con quel rubacuori  e gran figo del protagonista, Edoardo Palomo, che da solo bastava per tutta la serie.







Se la memoria non mi inganna è anche stata quella più articolata e piena di colpi di scena. Amore e sofferenza, sorelle rivali, fratelli che si ricongiungeranno solo alla fine; tra  morti, prigioni e tradimenti.

Onestamente le trame erano molto Harmony e i protagonisti ben poco attori. Ma tutto quel delitto e castigo, ci faceva sognare all'epoca.
Insomma era più che sufficiente.

Dopo qualche anno di grande affezione, la passione per queste storie andò scemando; ad oggi credo non ci sia più traccia in Italia di telenovelas. 
Ma correggetemi se sbaglio.

In Brasile invece,  continuano a mietere un successo che sembra non terminare mai.

Certo è che, grazie ad una frase buttata lì tra i messaggi, la serata invece di trascorrere tra un film e una lettura ha virato verso un imprevisto divertente. Merito di una applicazione che da tempo spopola tra noi smartphone addicted.
E allora la domanda mi viene molto semplice: voi avete un gruppo su whatsapp?
Lo trovate divertente? 
Vi è  già successo di preferire i discorsi tra amiche/amici, ad un film o ad un libro?
E partendo da una frase, magari cascata per caso, passare come è successo a noi una bellissima serata amarcord?
E infine, cosa pensate di questa app e delle altre, ormai diventate pane quotidiano per tantissimi? 
Le amate, le odiate, ne riuscireste a fare a meno?

Sparate.


E che whatsapp sia con voi!


Ghghghgh

20 giugno 2014

Na tazzulella e café










Na' tazzulella e' cafè e mai niente cè fanno sapè 
nui cè puzzammo e famme, o sanno tutte quante e invece e c'aiutà c'abboffano e' cafè Na' tazzulella e' cafè ca sigaretta a coppa pe nun verè che stanno chine e sbaglie, fanno sulo mbruoglie s'allisciano se vattono se pigliano o' cafè E nui passammo e uaie e nun puttimmo suppurtà e chiste invece e rà na mano s'allisciano se vattono se magniano a città Na' tazzulella e' cafè acconcia a vocca a chi nun po' sapè e nui tirammo annanz che rulore e' panze e invece e c'aiutà c'abboffano e' cafè Na' tazzulella e' cafè ca' sigaretta a coppa pè nun verè s'aizano e' palazze fanno cose e' pazze ci girano c'avotano ci iengono e' tasse.. 




Mi sono svegliata con in testa e tra le labbra la canzone di Pino Daniele.
E non è "colpa" di Marco Galli&Company ( Ciao Carlotta ) che seguo tutte le mattine alla radio.

Sarà forse malinconia, sarà la mia terra che irrompe.

Sarà che io senza il caffè sono una ciofeca.

Sarà la canzone che è sempre così attuale.


E allora ho pensato ad una vita senza caffè.

No, non ce la posso fare.
Negli ultimi due mesi ci ho dovuto rinunciare, il mio stomaco lo rigettava.
Ora sto riprendendo lentamente, leggero, decaffeinato, con latte.
Ma non vedo l'ora di "farmi" una bella tazza di caffè nero bollente, come piace a me.

E VOI?
Che rapporto avete con la bevanda italiana per eccellenza?
L'amate?
La detestate?
Come lo preferite?
Amaro, dolcissimo, corretto?

Ahahahah


Vi lascio con la versione acustica jazz della canzone, cantata da un Pino Daniele in stato di grazia.







18 giugno 2014

Incompresa.









Questo è un post al contrario.
Ovvero potrebbe sembrarvi una recensione, ma non lo è.
E l'obiettivo che voglio perseguire è quello di distogliervi dall'idea di andare a vedere sto' film.

Prendete un'artista, antipatica, malmostosa, irruenta, figlia di un mostro sacro del cinema italiano e di una bravissima attrice.
Prendete ASIA ARGENTO.
Un'infanzia passata a districarsi con un miliardo di miliardi di problemi, sballottata da un genitore all'altro.
Cresciuta a pane e cinepresa.
Figlia d'arte e attrice fin dalla più tenera età.
Anche cantante, musicista e regista. Non c'è dubbio, ho sempre pensato fosse questione di DNA.

Un'anima eclettica e di sicuro una personalità unica.
Non il massimo della simpatia con quell'aura costruita apposta per farsi definire bella e dannata. ANZI. Direi che a molti, me compresa, sta cordialmente antipatica.

Sempre in giro per il mondo. Sempre a contatto con i più grandi. Nel suo mondo vellutato e velato.

E  tra compagni famosi e due figli, si è ormai concentrata da tempo nel mestiere che è anche di suo padre Dario, ottenendo dei buoni risultati. Niente di eclatante eh.

Ho sempre pensato a lei come alla solita figlia di che vuole confrontarsi con i suoi fantasmi.
Per tentare di scrollarsi di dosso l'immagine di una che mai potrà superare il confronto.
E da una sfida così nascono alcune regie. Film italiani e produzioni all'estero. Con sorpresa la ragazza non perde un colpo. Premi e riconoscimenti fino a  creare un film che è un piccolo capolavoro.
Girato con una sensibilità tale che ti stupisce, ad ogni inquadratura, ad ogni battuta. Con una fotografia da lasciarti senza fiato e una bellissima colonna sonora. Quest'ultima per la maggior parte scritta proprio da lei.
E i protagonisti, incredibilmente e dolorosamente efficaci; di una bravura che quasi ti spaventa.
E tu sei lì, piccola, nella tua sedia che quasi non respiri per due ore.
Mentre lo stomaco ti prende a botte.
Ogni istante che passa ti sembra di non riuscire a staccare gli occhi dallo schermo e vorresti solo una cosa: raggiungere Aria, la bimba protagonista; avvolgerla forte, con tutto l'amore che riesci.

Una bimba vittima di due genitori estremamente egoisti, immersi nel loro mondo di "artisti" e lontani; troppo per uno scricciolo (ribelle) che vorrebbe solo avere da loro conferma di affetto.
Conferma di esistere.
Un racconto talmente sentito che non puoi fare a meno di pensare che quella bimba sia la regista. E che lei ci racconti di se stessa e del suo percorso personale in gran parte fatto di solitudine e tormenti.
Non a caso il film è ambientato negli anni '80; gli anni della sua infanzia.
Ci sono cascata dentro per intero.
E mai potrò dimenticare le parole che Aria dice nell'ultima scena del film:
"Vi ho raccontato la mia storia perché incontrando bimbi come me possiate imparare ad essere più gentili".

E in un momento in cui tragedie di vita spazzano via in un attimo la purezza e la luce dagli occhi dei bimbi, non potevo fare altro che raccontarvela, una storia così.

Grazie ad Asia. Però.

Mi sa che non sono mica riuscita a trascinarvi fuori dalla sala...





15 giugno 2014

RECENSIONE: LUCIANO BIANCIARDI - LA VITA AGRA




Luciano Bianciardi (immagine presa dal web)

La prima volta che lessi il romanzo del grossetano Bianciardi, avevo sedici anni. Ero nella fase di ingurgitamento totale. Indipendentemente dai miei gusti (non ancora ben definiti a dire il vero) divoravo qualsiasi testo mi si presentasse davanti. E mi incuriosisse. Che fosse letteratura, storia, filosofia, arte, demagogia e chi più ne ha più ne metta.
A casa, grazie ai libri di papà e zii, avevo ampia scelta.
Ma io preferivo la biblioteca di zio Alberto.
Lui,  è il mio mito. Esattamente come il suo rifugio. Una stanza avvolta nella quiete della meditazione. Centinaia, anzi, migliaia di libri che la circondavano come un abbraccio potente, forte.
La sua scrivania al centro. Con le sue tavole umoristiche sparse in ogniddove; quelle che  poi inviava  alla Settimana Enigmistica.
I suoi scritti. I suoi racconti.
E la sua stanza mai chiusa a chiave, esercitava su di me un potere magico a cui non riuscivo a sottrarmi.

Lui sempre lì… mi accoglie con il sorriso, l'intelligenza e la sua ironia. Impagabili.
Solo la biblioteca mi sembra più piccola. Come è naturale, si sa. I nostri ricordi con il tempo raggiungono delle dimensioni irreali. Forse per questo restano più amati.

Mi ci rifugiavo spesso da ragazzina. Odiavo la calma pomeridiana che prendeva la famiglia dopo il pranzo della festa. E allora mi ci nascondevo. Cercavo un titolo o una copertina che accendesse il mio interesse. Ho anche scoperto, uno dei miei libri preferiti, proprio lì. Harper Lee e il suo Buio oltre la siepe. 

Quella volta, un libro con in copertina una bomba con la miccia accesa, catturò la mia attenzione.






Un libro del genere "potente" tra i libri dello zio. Folle vero. La tentazione era impossibile da far tacere. Ma di cosa diavolo poteva parlare? Aperto e letto in pochissimo tempo. Quasi divorandolo.
Mi rimase impressa la rabbia del protagonista. E la visione di una Milano fredda, superficiale, tesa solo al guadagno e allo sviluppo economico. La denuncia dura di "valori" che in realtà non erano e sono niente. La gente poteva morire per strada senza che alcuno si fermasse a soccorrerla. E poi l'amarezza del protagonista, la durezza della sua vita. Il suo sguardo critico nei confronti di chi lo circondava, schiavo della ricerca forsennata del "benessere" ancora oggi così  attuale. ANZI. La buca in cui siamo finiti  è stata scavata proprio in quei giorni.
Troppe domande  non trovarono risposta.

Sono passati tantissimi anni. Parlando poco tempo fa con un amico, venne fuori quanto questo libro era stato importante per lui e quanto ancora oggi, resta uno di quei libri  che gli hanno insegnato a vivere.
Ed io mi dissi che era il momento di rileggerlo. Per comprendere meglio e per trovare le risposte alle domande di allora.

Perché lo scrittore, dopo avere raggiunto il massimo della popolarità grazie al suo romanzo, quasi vergognandosene vi rinunciò, preferendo tornare nell'oblio?

Perché un racconto molto autobiografico narrante di un solo inverno, quello del 61'-62', diventa un trattato sociale di così potente intensità?

Perché mi sono persa nuovamente, nei suoi lunghi paragrafi quasi senza punteggiatura, senza avere alcuna voglia di riprendere fiato?

Perché essere anarchico ti condanna sempre agli occhi degli altri?

Perché tutta quella rabbia?

Quest'uomo (lo Scrittore Bianciardi) a mio parere aveva capito già tutto fin da allora. Aveva guardato lontano e quello che aveva veduto non gli era piaciuto affatto.
E il suo libro rimane una pietra miliare per chi odia il conformismo. Per chi rigetta anche solo l'idea di essere come tutti gli altri.


"Lo so, direte che questa è la storia di una nevrosi. La cartella clinica di un'ostrica malata che però non riesce nemmeno a fabbricare la perla. Direte che se finora non mi hanno mangiato le formiche, di che mi lagno, perché vado chiacchierando?
E' vero, e di mio ci aggiungo che questa è a dire parecchio, una storia mediana e mediocre, che tutto sommato io non me la passo peggio di tanti altri che gonfiano e stanno zitti. Eppure proprio perché mediocre e a me sembra che valga la pena di raccontarla. Proprio perché questa storia è intessuta di sentimenti e di fatti già inquadrati dagli studiosi, dagli storici sociologi economisti, entro un fenomeno individuato preciso ed etichettato. Cioè il miracolo italiano."




Le risposte sono arrivate.
E questo è un GRANDE romanzo.
Già, l'ho pure riletto due volte. Una dietro l'altra.
E lo stesso Bianciardi mi ha aiutato a comprendere meglio.
Parecchio meglio.












Secondo me la canzone di Ligabue è perfetta a completamento del post, per cui l'ho aggiunta. Come sempre, fatevene una ragione.

10 giugno 2014

Vivere per raccontarla.


E' passato  poco più di un mese. Già.
Non mi va di dire molto, ogni giorno è il giorno adatto per scrivere due brevi righe.
Per ringraziarlo, per ricordarmi che ho passato oltre vent'anni della mia vita a leggerlo.
E sarà sempre tempo per continuare a sorridere, piangere e amare scorrendo le sue parole.
Ma soprattutto c'è una cosa che mi ha insegnato.
La vita va vissuta. 
Intensamente, senza ripensamenti.
Ogni ora è importante. Ogni giorno, tutte le strade che si percorrono.
Così come è importante, per chi ci crede, seguire il consiglio.
Se ti scappa da scrivere, scrivi.
Racconta, gli amori e le arti.
Vivi profondamente.
Per potere raccontare.
Un romanzo intero. O un solo paragrafo. La vita. Come la rammenti. Già.

"La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda, per raccontarla."

Gabriel García Márquez

Lui lo ha fatto.
Io intanto, ci sto provando.
Con amore.









La domanda è: se vi scappasse di scrivere, cosa scrivereste e come?
Saresti ragionieri delle parole o fareste vibrare emozioni e sentimenti?
E soprattutto come raccontereste? Una cronaca dettagliata oppure solo quello che la memoria ricorda?

08 giugno 2014

Ma se voi...



Lo so che non sono del tutto normale. Insomma, ogni tanto il cervello fa cilecca ed io mi ritrovo a pensare alle cose più assurde.
Ma c'è una cosa che in realtà,  mi incuriosisce da sempre.
E penso che almeno una volta nella vita anche voi ci abbiate pensato.
Insomma.
Mettete che arrivi il giorno del giudizio. Sì proprio quello. Squilli di tromba e cori celestiali.
La famosa porta da attraversare.
San Pietro che saluta e  legge tutto di filato l'elenco degli errori. oops peccati.
E lì ci sono proprio tutti.
Dalla volta che avete rubato il pacchetto di cicche in seconda elementare a quando avete fregato la donna al vostro migliore amico, eh già.
Insomma tutto.

Siete lì, con un piede all'inferno e uno al purgatorio, mentre un contabile del posto riconta per la terza volta tutte le bestemmie dette e quelle pensate (fanno conto pure quelle) e ad un certo punto, un vecchietto al di là del cancello alza la mano e dice: "eh no, me lo ricordo io quel ragazzo lì. Mi aveva offerto il pranzo ai giardinetti il giorno prima che mi prendesse un colpo, sulla panchina dove vivevo. E nell'elenco non c'è. Secondo il regolamento art. 1 comma 22565 gli si deve dare una seconda possibilità".

Agitazioni e consulti tra angeli e arcangeli e alla fine il verdetto. Tutto vero. Viene data la possibilità di tornare sulla terra. A sistemare quello che si aveva in sospeso. E fare qualcosa di buono, finalmente.
Ovvio, la cosa è a tempo. Una manciata di giorni; "sopra" in realtà, saranno solo pochi minuti. Quello che basta per tornare e avere guadagnato qualche punto. Almeno per riuscire ad evitare fuoco e fiamme. Che diciamocela tutta. Ci si creda o non ci si creda, se ci fosse farebbe male. 
Dai, provate a pensarci. Anche se vi sembra assurdo. Cercate di comprendere sta donna "malata" in piene turbe di mezza età. Accontentatela!

Che fareste?
E ad accompagnarvi, loro.






03 giugno 2014

Recensione:Paolo Giordano - Il nero e l'argento







E' uno degli scrittori ITALIANI che preferisco.
Al suo terzo romanzo.
Sopravvissuto al grande successo del primo e al quasi insuccesso del secondo, purtroppo spesso un passaggio obbligato.
Per quel che mi riguarda,  il secondo è quello che ho amato di più.  Ne avevo già parlato qui.

Giovane fisico trentenne che ormai in via definitiva, ha buttato la sua laurea alle ortiche e si dedica al piacere sincopato della scrittura.

E dopo avere parlato di solitudine tra fratelli e amici (La solitudine dei numeri primi) e di comunione tra sconosciuti (Il corpo umano) ecco che rivolge la sua attenzione alla coppia.
Una coppia molto giovane, con un bimbo piccolo. 
Alle prese con la quotidianità che, se non si è saputa limitare in tempo, può provocare scosse, terremoti e voragini così profondi da  divenire incolmabili.
La coppia avanza nella vita comune un passo dopo l'altro e presto avrà bisogno di un aiuto. Lo trova nella signora A.
Lei diviene la loro domestica;  ben presto anche la vera custode della famiglia; capace come nessun altro di arginare i limiti e le crepe che si stanno creando. Di far loro vedere come se si trovassero di fronte ad uno specchio, il modo di  superare gli scalini che sembrano non esserci. E' lei che dona loro quell'equilibrio fondamentale in ogni rapporto. Il perno, la bussola. Fino a quando ci sarà. L'allontanamento di "Babette" come viene soprannominata in famiglia,  a causa di un cancro che se la porterà via, coinciderà con lo scoppio  della  crisi nel rapporto. Il protagonista maschile, di cui non sappiamo in nome, giovane fisico (ma che davvero?) alle prese con un momento di buio che identifica con il colore nero, si staccherà dalla moglie Nora, fluida e versatile come l'argento.
La famiglia dovrà affrontare la malattia di A. Che li coglierà impreparati, poiché lontano dalla gioventù è l'abitudine alla comprensione del dolore altrui. Ci saranno scontri e divergenze molto forti.
Ed è in tutto questo che la sensibilità di Paolo Giordano ci accompagna.
Leggendo il suo libro quello che è anche il nostro quotidiano ci appare in tutti i suoi limiti, in tutta la sua fragilità.
E lui riesce a raccontare una storia che ci appartiene. Che è molti di noi. Che è famiglia, che è amore, che è instabilità e incertezze. Come la intendiamo noi, come la conosciamo. Quando abbiamo qualcosa in gola che non sappiamo se sputare fuori immediatamente o covare a lungo fino all'esplosione.
E a volte è troppo tardi.
E la crisi forte arriva, ti sbatte in faccia tutto quello che pensavi fosse certo. E ti annulla, ti schianta.
Le strade da percorrere restano due. Una in solitudine, asfalto che non conosci ma che guardi attentamente sperando diventi familiare.
La seconda in compagnia, asfalto vecchio di cui conosci ogni buca e ogni cunetta. Ma stringi forte la mano di chi è ancora al tuo fianco che lo conosce quanto te. Consapevole  delle cose da evitare e di quanta forza dovrete trovare per sostenervi l'un l'altro..

"Ero sicuro che l'argento di Nora e il mio nero si stessero mischiando lentamente. MI SBAGLIAVO.   Eravamo, a dispetto delle nostre speranze, insolubili l'uno nell'altra".


Chissà se il nero e l'argento possono mischiarsi insieme fino a diventare un'unica forza che scorre.

Paolo Giordano prova a darci una risposta.