27 novembre 2013

A Milano fa bel tempo.



Welcome to Milano (foto presa dal web)



Oggi a Milano c'è il sole.
Mi prende bene cominciare la giornata così. Nonostante il freddo e l'inverno che incalza, oltre il buio che scende presto.
Mi accorgo di alzarmi con il sorriso sulle labbra.
Come i miei amici di blog sanno, non è un gran bel periodo per me.
Ho frequenti balzi d'umore e basta niente a buttarmi giù per terra.
E se riesco a sorridere appena sveglia, è un gran successo.
Non posso sapere con certezza come starò domani.
Non ci penso.
Intanto mi copro bene, prendo la mia musica, infilo le cuffie nelle orecchie e vado.
Provo ad osservare quello che mi sta intorno.
La strada verso la fermata del bus. Case basse, giardini intorno, cagnoni che restano nelle loro cucce e non mi salutano come al solito, perchè fa troppo freddo.
Alla fermata, le persone che tutte le mattine alla stessa ora prendono il mio stesso pullman.
Siamo assonnati e già raccolti nei pensieri lavorativi. Io cerco di non pensarci e mi faccio avvolgere dalla mia colonna sonora. Il cielo è azzurrissimo cosa molto rara. E appunto per questo meravigliosa.
Lontano e di fronte; le cime delle montagne innevate. Il sole che sorge le illumina. Mi sembra quasi di vivere altrove. Dove tutto è a misura d'uomo e forse un pochino più semplice.
All'interno del mezzo tante persone. A volte è così pieno che restiamo schiacciati uno all'altro per tutto il tempo. Tanti visi, tante età. Tante storie. I ragazzi che scendono prima del capolinea fanno il solito baccano. Ridono, si prendono in giro, parlano delle lezioni o dei loro amici. Anche di musica. Spesso apprendo da loro, sui mezzi, le novità.
Un universo colorato, per via del meltin pot che ormai caratterizza tutte le grandi città.
Anche in metro è lo stesso. Si legge su carta o su ebook. Oppure si gioca con il telefonino. Si scorre lo stato e le novità degli amici su FB.
Arrivo in centro e  l'ultimo pezzo di strada fino al lavoro, lo faccio a piedi.
Da Porta Venezia a Piazza della Repubblica. 
Sempre con la colonna sonora nelle orecchie. E' che diventerò sorda lo so. E anche cecata.
Ma chissenefrega. Se mi tolgono la musica o la lettura mi tolgono l'aria.
Parlarvi delle ore in ufficio è inutile. 
Non le amo, è solo dovere. Faccio il mio lavoro al meglio pretendendo il massimo da me stessa. Non ne parlo mai, vero. Solo perchè non c'è nulla che valga la pena oppure che sia diverso da quello che la maggior parte di noi vive nel suo, di mondo lavorativo.
Vi annoierei.

Tornando a casa ho il tempo lungo la strada, di chiacchierare con mia sorella che mi descrive la sua giornata. Molto più faticosa della mia. Mi parla delle mie pupe, la bionda e la mora, che vivono in perenne movimento. E ne fanno una al minuto più di Bertoldo.
Non si stancano mai, caricate a pile duracell. La sfinita infatti è mia sorella.
Che spera di raggiungere le 10,00 di sera momento in cui le gemelle andranno, volenti o nolenti, a nanna. Permettendo ai genitori di respirare un po'.

Sorrido mentre le parlo. Mi sembra di stare con loro per qualche minuto. La stessa sensazione che ho quando mia cognata registra su whatsapp qualche momento della giornata di mio nipote e me lo manda. Possono essere foto o lui stesso che mi saluta, riempiendomi di baci. E il cuore si allarga.

Sì oggi è stata una buona giornata.
Sole e baci.
Grazie Milano.









E grazie Luciano Ligabue. La nuova canzone è un manifesto d'amore.





23 novembre 2013

Gabriele Romagnoli:Ogni giorno sapersi riconoscere, ogni giorno scegliersi



Gabriele Romagnoli - immagine presa dal web

Gabriele Romagnoli  è un grande giornalista. Non solo.
Uno scrittore e autore  che fa riflettere grazie alla sua capacità di sapere raccontare in una maniera unica, attraverso parole che sembrano uno scatto di polaroid.
Lo seguo da anni. Sulle pagine del mio settimanale preferito e grazie ai libri che ha pubblicato.
Nella breve parentesi in cui è stato direttore di GQ e per un breve periodo anche sul suo blog.

Fino a pochissimo tempo fa non sapevo che avesse esordito nel 1987 pubblicando un racconto nell'ambito del  progetto "Under 25" ideato da Pier Vittorio Tondelli. Mentre mi avvicinavo al grande scrittore emiliano mi sono resa conto che incredibilmente, c'è un filo invisibile che lega lui a Ligabue e Romagnoli. Del mio amore per il primo conoscete tutto. Della stima per il  secondo sto per parlarvi adesso.Ma è un  ulteriore dimostrazione per me che, niente è per caso.
Leggerlo è familiare, intenso. Mi immergo nel suo mondo, nella sua vita. E' estremamente sincero a volte duro, mai finto. Ha raccontato di sè attraverso i mille luoghi in cui è stato.
New York City, Egitto, Libano per fare alcuni esempi. Ma poichè da sempre ho la fissa per la Grande Mela, è stato naturale per me, apprezzare le dodici puntate o meglio i dodici articoli che scrisse su Vanity Fair nel 2010,  dalla città ombelico del mondo. Dodici articoli per i dodici mesi trascorsi nel posto più bello del mondo. Second me.
Gli articoli avevano un titolo: Il mondo in una strada. Strada che poi è stata un punto cardinale da raggiungere una volta che ci sono arrivata ed ero finalmente, esattamente, nel luogo dove avrei voluto nascere. La città dei miei sogni.

E così, partendo da Fulton Street in Lower Manhattan, che chissà perché mi ha ricordato Fellini e la magia dei suoi film affreschi di quel tempo, ha narrato delle persone che lo hanno attraversato e di tutto un universo incredibile di personaggi che pur reali, ha saputo avvolgere con un'aurea surreale.

Dall'angelo di Victoria's Secret soprannominata "Wannabe" incontrata sulle scale di casa, al giorno in cui tra colazione, pranzo e cena ha mangiato con un rabbino, un iman e un prete. Lui che credeva fosse possibile solo a Gerusalemme si è reso conto che no, NYC è anche questo. Anzi Fulton Street, sulla coda di Manhattan, è anche questo.

Come la storia dei tre fratelli equadoregni arrivati nel 1985, entrati in un negozio e mai più usciti. Arrivati come clandestini e divenuti sciuscià. Immagini da cinema neorealista italiano, che si sovrappongono quasi in automatico alla storia. Bianco e nero e titoli di coda.
Ha celebrato lo "spirito dell'umanità"ascoltando gli "StoryCorps".  Gente che gira l'America raccogliendo storie. E lo fanno in camper, cabine telefoniche e addirittura scatole.Niente di più giusto per uno come lui.
Avanti storia dopo storia, fino all'ultima. Quella in cui ci parla di una strada Fulton,  che sembra ogni volta morire e rinascere. Una serranda dopo l'altra che si abbassa, definitivamente. I caffè come quello in cui aveva fatto colazione con il rabbino che è stato tra i primi a chiudere. Luoghi aperti per anni che lasciano il posto al nuovo.
Solo pop up store però. Negozi che oggi ci sono e domani beh, domani ci sarà qualcosa d'altro.
La strada come la città è un fiume che si svuota e si riempie. Diversa ogni volta eppure sempre uguale. Cercando di resistere fino a che ci sarà qualcuno che vorrà costruire qualcosa partendo da lì.
La tristezza di un ciclo che si chiude mi fece desiderare di conoscerla. Del resto l'avevo vissuta puntata dopo puntata grazie a lui, per un anno intero. Disse che non aveva più storie da raccontare da quel posto. Eppure.
Io non ci ho creduto e sono andata a ficcare il naso. Due volte.


Fulton Street all'angolo ( foto MS)

Fulton Street nel 2011 ( foto MS)


Dopo gli articoli e tra gli articoli che continuo a leggere come un'assetata ad una fonte sempre fresca, ho continuato a conoscerlo attraverso i suoi romanzi. Ne ho letti due.
Domanda di Grazia e L'Artista.

Il primo racconta una storia di cronaca italiana. Coinvolto un suo vecchio amico. Nonostante l'amicizia, non cerca compromessi o giustificazioni da dare. In realtà ci parla di giustizia e di come le carceri in realtà siano delle dure scatole senza senso. Forse.

Il secondo è una storia che lo riguarda da molto vicino. Partendo da Bologna, città natale. E dai personaggi tutti simili ai suoi familiari.Ho amato il modo in cui parla del padre del protagonista. Attraverso quaranta e passa anni di vita, dall'Italia della seconda guerra mondiale agli anni '80,lui ci racconta anche come è nata la storia. E come, dopo un po' che scrive, si stanchi dei personaggi che crea tanto da volerli uccidere. Combatte per tutto il tempo della stesura del romanzo questa tentazione. Ora mi diverte pensare che, ad ogni passo avanti che faccio nelle sue storie magari nel punto esatto in cui mi sono soffermata, sia stato spinto dall'impulso costante di terminarle con un finale crudele. Eppure trova sempre un escamotage per continuare. L'espediente che utilizza ne L'Artista è  di rendere i personaggi  simili in parte ai componenti della sua famiglia e questo  gli consente di tenerli in vita.

Il titolo del mio post nasce da un momento cruciale della storia. Il padre lo dedica al figlio. Essere padri e figli in realtà non sarebbe nulla di speciale, ci vuole qualcosa in più. Bisogna come in ogni rapporto d'amore, riconoscersi ogni giorno. E scegliersi ogni giorno.
Mi piace, lo condivido.
Non sono genitore però sono figlia e non smetterò mai di esserlo. Dall'altra parte della barricata ci si rende conto che i nostri anni sono stati scanditi da ere. La prima è stata l'infanzia e allora tutto era perfetto, soprattutto loro ai nostri occhi. La seconda è stata l'adolescenza, era di rifiuto e di lotta. Niente andava bene, nulla era come volevamo. La terza è stata quella della lontananza.Eravamo giovani dovevamo cavarcela da soli. E' servita a trovare il nostro mondo e a riscoprirli poco a poco. La quarta la maturità detta anche l'età dell'oro, è quella che la maggior parte di noi sta vivendo ora. Siamo tornati ad amarli con tutti i loro difetti, esattamente come da sempre fanno loro con noi. E ogni volta, in ogni situazione, ci siamo scelti. In guerra e in pace.
E poi se ci riflettete bene, mica vale solo per il rapporto genitori-figli non sembra anche a voi?

Resta che tutto questo è davvero speciale.

Come lui. Che riesce con le sue parole a rendere straordinario, l'ordinario.

In occasione di BookCity 2013 Gabriele Romagnoli sarà a Milano.
Lascio il link con la data dell'incontro. 

Storie di ordinaria malagiustizia


Io sarò in giro saltando da un posto all'altro come un grillo. Per il 2013 la manifestazione si presenta ricchissima di incontri. 
E' solo il secondo anno. Chissà cosa ci riserverà il futuro.






















18 novembre 2013

Solo risate please!



Immagine dal web

Stavo per scrivere un post terribile, pieno di tristezza e di considerazioni funeree. Insomma una roba che rispecchia in bella parte il mio guardarmi allo specchio degli ultimi giorni.
Poi è arrivato un vecchio amico di blog che ha sentito puzza di leggera "depresscion" nell'aria e a modo suo mi ha ribaltata intera intera. Non pensate a male, non ci conosciamo che virtualmente!

Aggredendomi con la sua scrittura ironica  e una dialettica perfetta, ha provato a fare uscire "da questo corpo" la malinconia e a sostituirla con un pochetto di rabbia che è sempre utile allo scopo.
Ora mi sento meglio. sarebbe bello se i problemi sparissero con la stessa semplicità. Ma credo e sono estremamente convinta di una cosa. Ovvero che gli amici, quelli di vita e anche quelli di blog quando la frequentazione è di anni e si è avuto modo e tempo per raccontarsi molto reciprocamente, possano comportarsi così.
Che ci diano degli scossoni e ci colpiscano quando ci vedono tentennare, quando sentono che stiamo per cadere e che è il momento giusto di una bella strigliata. Un bel passaggio nella corrente elettrica a 200 wolt.
Non è che sempre ci faccia bene la mano sulla spalla.
O chi annuisce e non trova le parole. O chi aspetta il momento per parlarci e poi non lo trova mai.
E' vero. Dipende pure da noi.
E magari c'è la volta in cui l'attenzione delicata può fare bene.
O lasciarci addosso una tristezza indefinibile che ci abbatte di più.
Mentre la sferzata, ben ponderata, ci raggiunge molto più profondamente e ci costringe a reagire.
In un modo o nell'altro la reazione ci porta a riconsiderare il momento no. E a decidere se davvero valga la pena di procedere in modalità stand by. E se invece fosse quello adatto per farsi due risate con le quali superare l'attacco di "noncelafacciopiùinquestomondodiemme"?

Voi che ne pensate? 

Io intanto scrivo almeno dieci volte perché con l'accento giusto. Tanto per non essere più accusata di pigrizia.

Perché
Perché
Perché
Perché
Perché
Perché
Perché
Perché
Perché
Perché

Poi vi lascio con un pezzetto di Totò Monaco di Monza. Adoro questo film. Conosco le battute a memoria. E rido ogni volta che lo rivedo.
Quando il genio è immortale.







13 novembre 2013

La luce e l'onda.


Immagine presa dal web



La piccola testa bionda sembra cercare qualcosa tra i sassolini e i ciottoli  piatti lungo la riva.
In mano un rametto con il bordo appuntito. Lo ha lavorato da solo durante la notte di nascosto dal babbo. Senza fare rumore, lo ha tagliato e con il coltellino svizzero lo ha rifinito fino ad ottenere una punta simile a quella delle frecce.
La mattina è arrivata troppo presto e lui non aveva dormito per nulla. Era rimasto sveglio dopo avere finito il lavoro.  Guardava il vento leggero spostare il pizzo delle tende alla sua finestra. Ad ogni tiro di brezza riusciva ad intravedere la luna piena. Era grande e sembrava sempre più vicina. Dove saranno i crateri e i mari raccontati così bene dagli astronauti? Quelli tornati dopo avere lasciato l'impronta su quel terreno lontano, fatto di polvere bianca e misteriosa. Non riesce a vederli nonostante si sia stropicciato gli occhi a lungo. 
Fa colazione con il pane fresco e il latte appena munto. E poi scappa via facendosi inseguire da Attila che gli abbaia contro tutta la rabbia che ha, perchè questa volta non lo porterà con sè.
Raggiunge la banda. Gianni, Maurizio, Oscar e Matteo. Hanno tutti la medesima età e sono pronti. Dieci anni e stecchini al posto delle gambe. Graffi e lividi ovunque. Le magliette a righe stinte dai troppi lavaggi e dal sole preso mentre asciugano all'aperto. Un taglio dei capelli violento quasi a zero. Colpa dei pidocchi che a fine primavera sono piombati addosso a loro come una calamità biblica.
Un cenno della testa e un ringhio come risposta. Si allontanano. Ognuno di loro ha tra le mani un rametto uguale al suo e un secchio rubato alla famiglia; di quelli che servono a raccogliere il latte dalle loro mucche.
L'aria della mattina è ancora fresca in quell'inizio di giugno.
Attraversano il bosco fatto di salici leggeri che con le loro lunghe fronde, si abbassano fino ad inchinarsi verso il letto del fiume che si intravede ai loro piedi. Tra di loro è un susseguirsi di bisbigli e poi di frasi che man mano si acutiscono. Poi diventano risate e alla vista del fiume e del suo luccichio si trasformano in urla stridule.
Ci sono. Eccoli soli, lì davanti. Il letto del fiume e loro. Che impresa è stata raggiungerlo. Hanno eluso la sorveglianza dei grandi e sono fuggiti. E' la loro prima volta. Lasciano tutto sulla riva. Una corsa a chi si immerge per primo. Le magliette ed i calzoni estivi, alcuni stretti e corti perchè dell'estate passata, vengono abbandonati senza alcun riguardo. I rami appuntiti stretti nelle loro mani. I secchi che restano sulla riva.
Passano alcuni minuti, il tempo di riprendersi dalla sferzata che li ha percorsi dopo essersi buttati nell'acqua gelida. Chi spavaldo, chi più timoroso, ora sono dentro. E ci sono ancora risate e corse in acqua e scherzi. Poi ecco, un balenio d'argento. Alcuni lucci si intravedono. Nonostante l'acqua quasi ribolla per la loro presenza e per il frastuono, si sono avvicinati. Il corpo lungo e affusolato dei più grandi, riflette in contemporanea la luce del sole e lo specchio d'acqua.
Fanno silenzio all'improvviso.
Si dispongono a cerchio come il vecchio Pietro ha loro raccomandato. Al segnale di Gianni, il loro capo, ognuno con il suo ramo, si buttano su quelli che meno timorosi si sono avvicinati.
E' una zuffa in piena regola. Cascano tutti dentro contemporaneamente e con gran rumore. Si ostacolano tra di loro e ben presto non vedono più alcun pesce. Ritirano tutti il ramo e tornano a fatica in posizione eretta.
All'improvviso lo guardano tutti, immobili. Attaccato al suo ramo un luccio ben grosso si dibatte con tutta la forza che gli resta. Gianni gli fa cenno di uscire. E come in processione avanza con  tutti gli altri dietro.
Raggiunge il suo secchio e lo butta all'interno. Lascia un po' d'acqua e poi si gira verso gli altri.
E' ancora stupito si guarda attorno. La piccola testa bionda illuminata dalla luce del sole e dalla leggerissima onda del fiume.



(Mariella S.)

Questo racconto l'ho scritto di getto durante la notte. Lo dedico ad un caro amico di blog che è lontano ma è nel mio cuore. Ciao Vincenzo.

11 novembre 2013

Del perchè per me Massimo Moratti resterà per sempre il Presidente


Madrid 22 maggio 2010 - tracce nella storia





Inizierò dalla fine.


Sabato sera allo stadio Giuseppe Meazza, volgarmente detto San Siro, si è celebrata l'ultima partita dell'era Moratti. Giocavamo in casa: Inter - Livorno finita 2 a 0 per noi. Non è stata una grande partita, sembrava giocassimo con il freno a mano tirato.Per un bel pezzo del secondo tempo mi è sembrato che il Livorno potesse acchiapparci con facilità. Insomma Inter, quella per la quale il cuore va sempre a mille durante una partita e non si è mai tranquilli, niente è scontato con l'abitudine che abbiamo ad ogni partita di ribaltarla in un momento. Dal vincerla al perderla, come di consueto. L'emozione più grande per me è stato il rientro in campo di Capitan Zanetti, dopo l'ennesimo infortunio da cui si è ripreso ad una velocità incredibile. Un quarantenne con l'animo e il fisico di un trentenne. Stupur Mundi. Era senza la sua  fascia di capitano ceduta  a Cambiasso,  formidabile suo sostituto. Ogni maledetta volta che guardo negli occhi di Javier ci vedo la suprema emozione e l'infinito orgoglio di essere parte di questa squadra. Mi riscalda il cuore e mi consente di continuare a sperare. Mi consente di crederci sempre. Nella mia pazza, pazza squadra.
Sono venticinque anni. E ve ne ho parlato altre volte ad esempio parlando di Zanetti.
Ma vorrei fare un piccolissimo accenno agli ultimi 18. Sugli spalti della curva nord,la nostra curva, è apparso uno striscione che diceva:

 "Le gioie più grandi, le sofferenze più imbarazzanti, 18 anni di gestione racchiusi in quelle 12 domande. Spesso l'abbiamo attaccata anche se mai l'abbiamo abbandonata. Nonostante tutto qualcosa ci accomuna, l'amore per l'Inter innegabile. L'essere troppo tifoso a volte è deleterio, ora attendiamo curiosi ma intanto grazie di tutto presidente, se lo merita. In fondo le abbiamo voluto bene".


Le parole dei tifosi sono anche le mie. Innegabili i suoi errori, gli sbandamenti, i suoi arrocamenti. Il suo puntiglio e la sua passione per alcuni giocatori che, a dire il vero sarebbe stato molto meglio lasciare andare.


Ma di sicuro sono fondamentali per me altri numeri.
Questi.


In diciotto anni di presidenza ovvero dal 25 febbraio 1995 è stato il presidente dell' Inter che ha vinto di più.


5 campionati
4 coppe Italia
4 supercoppe italiane
1 champions league
1 coppa Uefa
1 coppa del mondo per club

E oltre ai numeri la certezza che lui sia sempre stato più tifoso che presidente.
Ha sofferto, si è incazzato, ha riso e si è emozionato per la sua squadra come ognuno di noi.
E per me è quello che conta.
Le volte che sono andata allo stadio sia quando facevamo goal che quando lo subivamo guardavo in alto verso il suo posto. Ed era lì felice o arrabbiato, come me giù in basso. Uguale. 
Non sono cose che potrò dimenticare.
E non lo farò.


Grazie Presidente.








08 novembre 2013

Fotografie & fotografi






Io ho un fotografo preferito.Bene direte e chissene...anche noi.
Potreste farmi una lista lunghissima.
Nomi che potrebbero trovarsi tra questi.

STEVE MC CURRY
MAN RAY
FERDINANDO SCIANNA
ROBERT DOISNEAU
DOUGLAS KIRKLAND
MARK SELIGER
ANNIE LEIBOVITZ
MARIO TESTINO
HELMUT NEWTON

Alcune loro foto in ordine di preferenza. Mia.

Steve Mc Curry

Man Ray
Ferdinando Scianna

Annie Leibovitz


No, nella lista non c'è. Per quanto bravi, eccezionali, tutti a cogliere l'attimo, qualcosa manca.
Che lui invece ha.
Io la chiamo "spinta del cuore".

Tra le sue foto:

Mar Baltico: sole a mezzanotte 
Maldive: bimba sull'isola del pescatori
Maldive: a scuola!

Stoccolma: vista dalla finestra dei Nobel

Parigi: salita al Sacro Cuore
Parigi e la sua modella preferita!

Umbria: Fonti del Clitunno

Assisi: una sera diversa dalle altre
Amsterdam: meglio di una cartolina
Il volo su Helsinky
Perchè Londra è davvero così
Abbey Road: la quinta Beatles
Il treno per lui
Manhattan: Free Tower  fino al cielo
Manhattan vista da Brooklyn
La sua modella vi saluta dalla collina di Strawberry Fields


Il mio fotografo preferito si chiama Francesco P.
Nessun altro scatto mi emoziona come i suoi.
Mi perdonino i grandi citati di sopra.
Al confronto con lui non valgono una cippa lippa. 
Tra le sue foto, ci sono quelle in cui meglio di un mago, riesce a rendere la sua modella (musa) quasi una star. Roba che solo l'amore può fare...

E voi amate fotografare ed essere fotografati?








03 novembre 2013

Monica Vitti: Polvere di stelle




La polvere di stelle o stelle cadenti come la memoria popolare ce le ricorda, è formata da frammenti di polvere interplanetaria che cadono sulla terra ed appaiono visibili come  una traccia luminosa, al momento in cui l'attrito degli strati più alti dell'atmosfera terrestre li rende incandescenti.
Se siamo in una notte serena di metà estate e abbiamo la pazienza di rimanere con il naso all'insù per un po' di tempo possiamo avere la fortuna di vedere un grappolo luminoso cadere.
Si dice portino fortuna e se nello stesso istante proviamo ad esprimere un desiderio, ci sono probabilità alte che si possa realizzare.

Io collego sempre il sogno e il desiderio al primo film che vidi dell'attrice italiana che amo di più.
Da bambina macinavo libri e film in bianco e nero ad una velocità subsonica. Stellare appunto.
E davanti alla tele in una domenica pomeriggio ( almeno mi pare visto che non studiavo ) mi lasciai incantare dalla storia di quei due pseudo-attori di rivista molto mediocri, marito e moglie, Mimmo e Dea. In un momento tragico della storia italiana durante la liberazione americana alla fine del 1943, vivono un periodo di gloria effimera. I loro spettacoli hanno un successo insperato complice il fatto che le truppe americane non capissero nulla di avanspettacolo. Ma dopo la Liberazione tornarono nel loro limbo. E si ridussero a vivere di espedienti. Monica Vitti e Alberto Sordi erano bravissimi a mettere in risalto le meschinità dei personaggi. Anche se il film non possiamo di certo definirlo un capolavoro nonostante la regia di Sordi.
Di sicuro però  brilla di luce propria grazie ai meravigliosi protagonisti.
Dea, con quella voce roca, le espressioni caratteriali giuste per il personaggio, l'ironia con cui  racconta la grinta e le illusioni di una donnetta che per un momento si illude di potere cambiare vita, mi travolge. Nostra signora Ceciarielli ( il vero cognome ), non mi da scampo.
Lei sarà per sempre, l'unica donna del nostro cinema a poter tenere testa ai "mattatori" che lo domineranno. Gli uomini, quali Sordi, Gassman, Tognazzi e Manfredi.
Lavorandoci assieme in tanti film si vedrà sempre come il rapporto resterà paritario.
Eccelsi loro, eccelsa lei.
Appena potevo cercavo di non perdermi un suo film. Andando a ritroso nel tempo vidi: La ragazza con la pistola, Dramma della gelosia - tutti i particolari in cronaca, Amore mio aiutami, Ninì Tirabusciò e Teresa la ladra.

Preferisco parlarvi di film in cui la sua onda comica si presenta per intero. I ruoli drammatici erano notevoli, penso ad esempio ai film di Antonioni; ma io la preferisco mattatrice. E' insuperabile.
Con il film  di Monicelli lei cambiò completamente registro. Il grande regista toscano vide per primo le capacità brillanti ed esuberanti della diva. Ancora rido ricordando il personaggio mitico di Assunta Patanè che insegue il suo amante con una pistola in borsa fino in Inghilterra. I suoi improbabili approcci agli usi locali e la sua trasformazione in una "quasi" lady inglese, sono memorabili.
Mille sfaccettature, mille donne in una sola.
Assunta che fuma serena sul traghetto mentre raggiunge la nuova vita è una donna libera. L'uomo che rimane sul molo è solo uno stolto.

Ecco cosa mi ha sempre colpito dei personaggi di Monica Vitti. Di quello che posso definire il messaggio del suo cinema. L'idea della donna che si riscatta. Pur nascendo vinta, retrograda, popolana, riesce grazie alla sua indipendenza e alla sua intelligenza a rinnovarsi, a rigenerarsi. Oppure si dimostra anticonformista per gli usi e costumi dell'epoca. Appare spesso bruttina e comune. Pur essendo, nella realtà, una donna bellissima. Ma doveva raccontarle le sue donne, doveva raccontarci così.
E' il filo conduttore della sua arte e della sua vita. Disse una volta che le donne l'avevano sempre sorpresa. Che le donne sono forti ed hanno la speranza nel cuore e nell'avvenire.
Parole che condivido dette in modo struggente e sincero; da una donna che per prima cosa era onesta e leale con se stessa.

Altro capolavoro del cinema italiano e di sicuro il suo film che preferisco è: Amore mio aiutami.
La coppia Vitti-Sordi in un connubio perfetto. Eppure Sordi in questo film non è grande quanto lei. Perfino nel momento delle botte (tutte prese dalla Mannoia che allora era la sua controfigura) lei resta imprendibile, magnifica. Lei che lo tradisce, lei che a modo suo lo ama. Lei donna imperfetta come tante di noi. 

Eppure noi, la stiamo dimenticando. Costretta da una malattia perversa che l'ha spinta verso il lungo oblio della memoria, vive quasi da reclusa nella sua casa romana. Coccolata e amata dal marito Roberto Russo che, si sta prendendo cura di lei da ormai molti anni. Il suo male non perdona.
Gli italiani si sa, hanno memoria breve che ha bisogno di essere coltivata e stimolata. Prigionieri della pigrizia. Con il dito sempre pronto sul telecomando. Sottomessi al dio zapping. In questo panorama socialmente inattivo, i giovani la conoscono a mala pena. Colpa di mass media, televisione e cinema  i quali preferiscono portare agli allori della cronaca nuovi miti (direi pseudo-miti in realtà) che vivono solo una stagione ma che fanno ascolti e procurano denaro alle loro casse impoverite dalla mancanza di fondi.Ma dovrei aprire il capitolo rabbioso su quanti campi sta danneggiando e distruggendo lo Stato Italiano a causa della sua cecità e sarebbe un'altra storia. Tutto a discapito di ciò che dovrebbe essere nostro dovere. Preservare la memoria.Dare la possibilità a chi non la conosce di rivederla. Un ciclo di suoi film, programmi che la ricordano, ad esempio. Ora che è viva, non domani nell'istante in cui la perderemo. Allora sarà solo ipocrisia.

Quanto ci costerebbe in termini di tempo e di denaro fare in modo che il livello altissimo di grandi personaggi della storia del nostro cinema, il loro insegnamento, il loro spessore, il loro valore artistico, non vada perso e dimenticato? In termini economici l'eliminazione di tutte le auto blu tanto per fare un esempio. Un sacrificio enorme per i nostri "dipendenti".

Purtroppo l'oblio sta colpendo quasi tutti i grandi della nostra storia cinematografica. E questo vale chiaramente anche per i cinque colonnelli del cinema italiano:Sordi, Gassman, Tognazzi, Manfredi e la nostra Monica.

Monica è una stella pura. E' Sirio la stella che scintilla. Nessuna polvere che si infiamma a contatto con l'atmosfera.  Esempio per tutte le attrici che sono venute e verranno dopo di lei.
Quante di quelle starlette che razzolano al cinema vorrei vedere a terra, picchiate brutalmente dal proprio uomo che dice "dillo che lo ami" e sentirle rispondere " sì che lo amo" con la stessa anima, con la stessa voce, con la stessa fermezza e illuminata grandezza che ha avuto lei.
Impossibile.






BUON COMPLEANNO MONICA.