Non se ne parla di mancare al nuovo appuntamento del bellissimo meme ideato da Patricia Moll.
E spero che mi perdonerà per l'inattesa virata che darò alla sua iniziativa con il mio post.Ma oggi non sarei riuscita a scrivere nulla di diverso.
Come di consueto si parte dal suo incipit:
E spero che mi perdonerà per l'inattesa virata che darò alla sua iniziativa con il mio post.Ma oggi non sarei riuscita a scrivere nulla di diverso.
Come di consueto si parte dal suo incipit:
"Seduta ai margini del bosco sotto alla vecchia quercia spoglia rimuginava. Un peso le gravava sulla coscienza. Forse era giunta l’ora di liberarsene ma con chi parlarne? A chi rivolgersi? Chi avrebbe capito?
D’un tratto il tappeto di foglie ingiallite dall’autunno scricchiolò vicino a lei. Si voltò..."
Il mio seguito:
"Suo padre, con i capelli imbiancati dalla calce, le mani sporche e piene di graffi, il fisico provato ed un sorriso stanco, la stava osservando.
Erano stati giorni infernali, notti lunghissime e insonni. Da quella domenica sera che nel giro di un minuto scarso, le aveva portato via tutta l’infanzia. Nulla del paese amato culla delle vacanze estive, era rimasto al suo posto.
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Conza della Campania ante terremoto - immagine presa dal web |
La bella chiesa antica, nel mezzo della piazza, dove aveva passato “interminabili” ore con la nonna e le zie a dire il rosario.
Le care case del centro storico, costruite con i risparmi di chi era andato via giovanissimo a lavorare all’estero, con tanti sacrifici. Pietra su pietra, spesso con le proprie mani, mettendoci anni. E un giorno a tutta quella fatica avrebbe fatto sponda la soddisfazione di possedere un posto dove tornare, che fosse sicuro, che fosse casa. Dove invecchiare, vedere crescere i propri nipoti e la vita continuare lì dove era iniziata. Sostanza per le generazioni future. Famiglia.
Le stradine e i vicoletti che si arrampicavano a fatica fin lassù, alla cima del paese.
La cisterna dell’acqua, dominava la collina e la valle. Circondata da un giardino profumatissimo, che dalla primavera all’estate rimandava odore intenso di rose e di fiori dai colori sfarzosi, coltivati con cura dalle donne di tutto il paese.
Gli anziani del paese, che avevano visto due guerre, insegnavano a figli e nipoti i giochi di un tempo. Avevano istituito una piccola bocciofila. E d’estate, quando le famiglie si ritrovavano, dal pomeriggio fino alla sera, era un rincorrersi di gare, tra giovani e vecchi. Teste canute e teste scure si chinavano a misurare i centimetri tra il pallino centrale e le bocce, tra urla di gioia e “lievi” minacce. Poco distante, i tavolini di chi giocava a carte. Anche lì, giovani e meno giovani, si scambiavano regole e poesia.
Ricordi e profumi che tornavano intensi, mentre lei sollevava lo sguardo verso l’alto non riconoscendo più nulla in quell’ammasso informe di pietre crollate. La cisterna muta dominava ancora la valle, ultimo baluardo doloroso di rimembranza. Sotto l'istantanea della tragedia.
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Conza della Campania - dopo il terremoto del 23 novembre 1980 |
Le lacrime scivolavano silenziose, mentre un pensiero fisso continuava a martellarle dentro.Poteva sembrare una cosa piccola ma per lei, in quel momento, assumeva un valore immenso.
“Non ho fatto in tempo papà, avevo promesso ad Angela che le avrei portato la mia Barbie Malibù, la mia preferita, per ringraziarla di tutte le estati in cui ho giocato con le sue. Assieme ai miei libri e ai quaderni per inventare nuove storie.”
Con un abbraccio lungo e intenso e un bacio sulla testa, il padre la consolò. Stringendola forte raccontò del dolore, della rabbia della gente, della tristezza, della paura, del senso di impotenza di chi aveva perso tutto ed era rimasto solo. Di quanta gente era venuta da tutta Italia e aveva scavato a mani nude per salvare le persone rimaste sotto le macerie. Degli zii, degli amici che non c’erano più. Di quel minuto interminabile che aveva calpestato gli uomini.
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Conza Scalo - il regno della mia infanzia dopo il terremoto |
Del nonno, rimasto per quasi tre giorni vivo, sotto le macerie della casa di famiglia. Della gioia del padre e dello zio provata nell'istante in cui erano riusciti a tirarlo fuori sano e salvo. Dei bambini, delle donne. Dello sgomento, dei ritardi nei soccorsi. Dell’incapacità dello stato di essere tempestivo. Della sofferenza. Di quel nulla che aveva inghiottito tutto. Di questa Italia, piena di ferite, rassegnata a curarsi da sola.
Allora e oggi.
Dedicato a tutti quelli che ho amato e che non ci sono più. Ai miei amici d’infanzia e alle corse nei campi di grano che non dimenticherò mai. Ai giochi lungo la ferrovia, tra i binari e sui treni in disuso. Alle migliaia di “campagne” e di avventure tra i boschi. Ai bagni nel fiume Ofanto, dalle acque limpide come cristallo. Ai miei nonni amatissimi. A mio zio. Alle mie estati.
A Conza della Campania.
All’Irpinia.
Alla terra che trema ancora lungo tutta la dorsale appennina. Alle Marche, all’Umbria, a tutta l'Italia centrale, a tutti i piccoli e meravigliosi paesi che fanno parte della nostra storia, della nostra vita. A chi non dormirà mai più a cuore libero. E ogni volta che la terra tremerà ancora, ripiomberà nell’abisso. Vicino o lontano che sia.
Ad oggi che ho avuto la forza di raccontare.