(Giacomo Leopardi - Canto XIV)
Scrivo perché mi scappa da scrivere...
(Giacomo Leopardi - Canto XIV)
Per anni ho stimato la categoria dei giornalisti. Sono cresciuta leggendo articoli e interviste di autori come Augias, Biagi, Tobagi, Alpi.Persone di un rigore morale inoppugnabile, con un'etichetta professionale indiscutibile che gli ha procurato non pochi problemi visto la loro incapacità di piegarsi al volere di chi comandava. Che hanno perso anche la vita per testimoniare la verità.
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ROCCA DEI RETTORI |
Il 25 è il giorno in cui, sul mio blog, si parla delle donne vittime di violenza di ogni genere.
Re e stella del cielo.
Uno dei miei primi vanti era stato il mio nome. Avevo presto imparato (fu lui, mi sembra, il primo ad informarmene) che Arturo è una stella: la luce più rapida e radiosa della figura di Boote, nel cielo boreale! E che inoltre questo nome fu portato pure da un re dell'antichità, comandante a una schiera di fedeli: i quali erano tutti eroi, come il loro re stesso, e dal loro re trattati alla pari, come fratelli.
Purtroppo, come venni poi a sapere che questo celebre Arturo re di Bretagna non era storia certa, soltanto leggenda; e dunque, lo lasciai da parte per altri re più storici (secondo me, le leggende erano cose puerili). Ma un altro motivo, tuttavia, bastava lo stesso a dare, per me, un valore araldico al nome Arturo: e cioè a destinarmi questo nome (pur ignorandone, credo, i simboli titolati), era stata, così seppi, mia madre. La quale, in se stessa, non era altro che una femminella analfabeta; ma più che una sovrana, per me.
Di lei, in realtà, io ho sempre saputo poco, quasi niente: giacché essa è morta, all'età di nemmeno diciotto anni, nel momento stesso che io, suo primogenito nascevo. E la sola immagine sua ch'io abbia mai conosciuta è stata un suo ritratto su cartolina. Figurina stinta, mediocre, e quasi larvale; ma adorazione fantastica di tutta la mia fanciullezza.
(Elsa Morante - L'Isola di Arturo - 1957)
Fulgida stella, come tu lo sei
fermo foss’io, però non in solingo
splendore alto sospeso nella notte
con rimosse le palpebre in eterno
a sorvegliare come paziente
ed insonne Romito di natura
le mobili acque in loro puro ufficio
sacerdotale di lavacro intorno
ai lidi umani della terra, oppure
guardar la molle maschera di neve
quando appena coprì monti e pianure.
No, – eppure sempre fermo, sempre senza
mutamento sul vago seno in fiore
dell’amor mio, come guanciale; sempre
sentirne il su e giù soave d’onda, sempre
desto in un dolce eccitamento
a udire sempre sempre il suo respiro
attenuato, e così viver sempre,
– o se no, venir meno nella morte.
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Benevento: Chiesa di Santa Sofia - Patrimonio dell'Unesco. Ci torno sempre. La chiesa in cui sono cresciuta e dove ho assistito alla messa di Pasqua. |
Guardo fuori dal finestrino mentre sto attraversando l'Italia per tornare a casa. Il treno è una freccia rosso scuro che sembra animata. Le persone sedute attorno a me hanno un ché di pensoso o semplicemente tranquillo. Chi legge o ascolta musica, chi lavora al suo PC, chi dorme e chi si sofferma ad osservare gli altri, come faccio io.
Ritorno per la strada consueta,
alla solita ora,
sotto un cielo invernale senza rondini,
un cielo d’oro ancora senza stelle.
Grava sopra le palpebre l’ombra
come una lunga mano velata
e i passi in lento abbandono s’attardano,
tanto nota è la via
e deserta
e silente.
Scattano due bambini
da un buio andito
agitando le braccia:
l’ombra sobbalza
striata da un tremulo volo
di chiare stelle filanti.
Gridano le campane,
gridano tutte
per improvviso risveglio,
gridano per arcana meraviglia,
come a un annuncio divino:
l’anima si spalanca
con le pupille
in un balzo di vita.
Sostano i bimbi
con le mani unite
ed io sosto
per non calpestare
le pallide stelle filanti
abbandonate in mezzo alla via.
Sostano i bimbi cantando
con la gracile voce
il canto alto delle campane: ed io sosto
pensandomi ferma stasera
in riva alla vita
come un cespo di giunchi
che tremi
presso un’acqua in cammino.
(Milano 12 febbraio 1931)
"Anche gli avvocati sono stati bambini, immagino... (Charles Lamb)
Jem, mio fratello, aveva tredici anni all'epoca in cui si ruppe malamente il mio gomito sinistro. Quando guarì e gli passarono, i timori di dover smettere di giocare a palla ovale, Jem, non ci pensò quasi più. Il braccio sinistro gli era rimasto un po' più corto del destro; in piedi o camminando, il dorso della sinistra faceva un angolo retto con il corpo, e il pollice stava parallelo alla coscia, ma a Jem non importava un bel nulla: gli bastava poter continuare a giocare, poter passare o prendere il pallone al volo.
Poi, quando di anni ne furon trascorsi tanti di poterli ormai ricordare e raccontare, ogni tanto si discuteva di come erano andate le cose, quella volta. Secondo me tutto cominciò a causa degli Ewell, ma Jem, che ha quattro anni più di me, diceva che bisognava risalire molto più indietro, e precisamente all'estate in cui capitò da noi Dill e per primo ci diede l'idea di far uscire di casa Boo Radley.
Ma allora, ribattevo io, se si voleva proprio risalire alle origini, perché non dire che la colpa era di Andrew Jackson? Se il generale Jackson non avesse incalzato gli indiani creek lungo il ruscello, Simon Finch non avrebbe risalito l'Alabama con la sua piroga, e dove saremmo noi a quest'ora? Eravamo troppo grandi, ormai, per risolvere la controversia a botte: consultammo nostro padre Atticus, e lui disse che avevamo ragione tutti e due.
(Harper Lee -Il buio oltre la siepe - 1957)
Talvolta dimentico l’amore,
come dimentico la mia mano