Mi è venuto in mente, mentre pensavo al titolo del post, lo slogan forse più famoso della nostra Italia e allora ho deciso che qui e ora ci stava benissimo.
Perché è vero.
A Natale possiamo dimenticare per un secondo gli affanni, i rischi, le paure e le preoccupazioni quotidiane.
Possiamo dedicare il nostro tempo a chi magari trascuriamo durante l'anno, perché a volte li diamo per scontati.
Possiamo riparare qualche errore, saldare un debito o una dimenticanza.
Possiamo chiudere fuori il resto del mondo e respirare.
Ed io vi auguro questo. Chiudete gli occhi, abbracciate, sorridete, sperate.
Fuori il mondo sarà sempre lo stesso, poi sarà dura come oggi.
Ma intanto, copriamo il nostro cuore con la coperta dell'amore, sono sicura che per qualche giorno basterà.
Vi abbraccio tutti, da questa Milano fredda e ventosa, ma piena di luci e di alberi di Natale illuminati. Alcuni bellissimi, altri meno. Ve ne ho postato una piccola parte.
Respiro ad occhi chiusi assaporando l'aroma intenso di un incenso profumato che si consuma piano piano, alla luce della mia piccola lampada rossa. La puntina del mio stereo striscia leggermente sui solchi del vecchio vinile che ha i miei stessi anni. La musica mi invade, lenta e quasi silenziosa, mi colma di poesia, di note sensuali che mi inseguono, mi accarezza dolcemente, piano piano.
Sono seduta sul divano, una gamba ciondola nel vuoto, l'altra , accartocciata, è ben incollata alla seduta della chaise lounge. Mi arrotolo un ciuffo di capelli sul dito e intanto guardo la pila di libri davanti a me, facendo finta di concentrarmi sui titoli.
Un attimo e mi distrae il tramonto dietro la finestra del balcone. Le nuvole sono rosso fuoco, corrono come bambini al parco, non gli interessa per nulla il silenzio sottostante. Equidistanti da tutto, piano piano abbandonano il colore e scoloriscono. Qualche minuto ancora e non le vedrò più, mentre la grande villa ottocentesca di fronte si accende di luci bianche artificiali che la fanno sembrare ancora più avulsa dal contesto, la città che si spegne. Non so cosa aspettarmi, ho già descritto i momenti di sconforto dovuti all 'aggravarsi della situazione. Ma oggi non voglio che l'incertezza prenda il sopravvento. Questo anno, se ci pensate, è volato via di corsa come un treno ad alta velocità. E ci ritroviamo attoniti quasi a destinazione senza sapere se, come e quando, arriveremo in stazione.
Dovrei ma non chiudo gli occhi, voglio tenerli ben aperti: annotare tutto, non perdere un istante. Sentire dentro di me ogni cosa: la riga che leggerò, la parola che udirò. Il rumore dei miei tacchi, il profumo che sceglierò, la morbidezza di ogni abito che indosserò. Ogni giorno, tutti i giorni. Sarà ancora attesa, ma la riempirò di vita.
Non so se qualcuno di voi ha già visto l'ultimo spot della PASTA RUMMO.
Semplicemente, lo AMO.
Sarà che è la pasta migliore del mondo, è la pasta che parla della mia terra, della mia città. Sono orgogliosa di questa grande eccellenza italiana, sempre in prima linea, ora più che mai, con donazioni e assistenza, come potete leggere (qui).
In questo clima di tragedia ha puntato i riflettori su chi, più di tutti, ha bisogno che la gente resti a casa. Gli anziani. I nostri nonni, i nostri genitori, i nostri zii. Il nostro patrimonio più importante.
Cosa resterà poi, di quello che ci sta accadendo, è scritto tutto nelle loro carezze, nei loro racconti e ricordi, nel loro affetto.
Restiamo a casa per loro. Oltre che per noi. Proteggiamoli.
#aCasaPerLoro
Grazie a PASTA RUMMO per il bel segnale.
PS: la pasta è suprema, se non la conoscete ancora, recuperate la grave lacuna eh...
Questa è la storia di Maria che ieri 2 novembre 2012, ha lasciato casa famiglia "La Nuvola" ed è andata a casa.
La sua casa.
Dalla sua famiglia, dal suo papà e dalla sua mamma.
I suoi genitori punto.
Maria arriva in casa famiglia, lo scorso anno in aprile. Ha tre anni, sembra una bambola di porcellana, visetto roseo, occhi castani, capelli biondi.
Non sorride, non parla, ti osserva e appena provi a farle una carezza si ritrae, immediatamente.
Il suo passato è duro, ha negli occhi il trauma di non essere stata amata abbastanza.
Vorrebbe una mamma tutta per sè.
Vorrebbe un papà che la porti al parco, con cui ridere e giocare.
Vorrebbe possedere qualcosa di suo, da non condividere, che la faccia sentire importante, unica per qualcuno.
Nell'estate del 2011 abbiamo passato una giornata insieme a Vietri sul Mare.
Tutti i bambini erano con noi, siamo partiti in macchina e via verso l'avventura.
Abbiamo passeggiato e giocato, corso per le stradine, ci siamo arrampicati fino al punto più alto della cittadina campana, per godere del panorama mozzafiato.
E sulla terrazza a picco sulla baia, abbiamo giocato con loro.
I ragazzi più grandi si rincorrevano e si azzuffavano, ridevano divertiti. Una partita infinita tra piccoli calciatori tifosi del Napoli contro le piccole pesti tifose dell'Inter.
Lei no, era stretta a noi adulti, avvinghiata alle gambe di Ai o alle mie.
Stringeva forte la nostra mano, durante la passeggiata e lì, sulla terrazza, restava ancorata e silenziosa.
Nel momento in cui, ho abbracciato e baciato mio nipote, l'ho preso con me per giocarci assieme e il bimbo ha riso divertito, lei mi ha guardato intensamente.
Mi chiede di salire in braccio al posto del piccolo.
E' il suo sguardo a colpirmi come un pugno, leggo tutto il suo dolore e il suo desiderio di essere come gli altri.
Come gli altri bimbi che vede attorno a sè ogni giorno a scuola o per strada, che hanno un posto proprio dove tornare e una famiglia che li ama.
La stringo forte, non posso fare altro e allo stesso tempo spero che arrivi presto una famiglia così come la desidera, tutta per lei. Quando il giorno prima di partire vado nella sua cameretta per salutarla e lasciarle un piccolo regalo tutto per lei, una borsetta vezzosa, lei non mi guarda come non osserva il regalo, è la sua difesa.
Nei mesi successivi Ai mi tiene aggiornata sugli sviluppi relativi a una coppia che a piccoli passi, con la lentezza burocratica che caratterizza la procedura di adozione, si avvicina alla bimba.
Sono due belle e brave persone, e con il tempo,la nostra amata psicologa, mi sembra sempre più contenta per la scelta fatta.
C'è voluto quasi un anno ma il momento di andare a casa è arrivato.
E' tutto un trafficare durante la mattinata in casa famiglia.
Arrivano i genitori con regali per tutti i bambini e con lo sguardo fiero di chi ha compiuto un nuovo miracolo d'amore.
Documenti e fotocopie, le ultime procedure.
Faccio alcune domande ad Ai che si rende disponibile a chiarire alcuni dubbi anche se in questo momento sta soffrendo molto perchè separarsi da un altro bambino amato tanto e protetto così, non è mai facile, costa in termine di amore moltissimo.
Ci racconti i passaggi salienti che hanno portato all'arrivo della bimba in casa famiglia?
La bambina è stata abbandonata in una scuola dalla madre, che dopo un mese ci aveva ripensato e la rivoleva per poi ripensarci nuovamente. Intanto il Tribunale aveva dichiarato l'abbandono e aperto la prima procedura. Non essendoci una famiglia di origine (i nonni e gli altri parenti si sono rifiutati) pronta a prendersi la responsabilità della piccola, hanno aperto la seconda procedura e la bimba è stata dichiarata adottabile nel mese di marzo di quest'anno.
Quanto vi ha aiutato il Tribunale nella scelta della famiglia? Il Tribunale seleziona a maggio cinque coppie ma viene chiamata la prima solo nel mese di luglio. I tempi tecnici voluti dallo stesso sono stati lunghissimi nonostante l'interessamento della casa famiglia che più volte ha chiesto lo snellimento della procedura. Purtroppo occorrono le firme di più giudici sia quelle del Tribunale che quelle della Corte D'Appello e i due uffici non sono nello stesso luogo; tale difficoltà logistica dilata i tempi.Si è arrivati quindi a novembre per il decreto di " Affidamento pre-adottivo" poichè per l'adozione definitiva deve passare un intero anno. In questo anno l'assistente sociale va a far visita alla famiglia per le tre volte necessarie alle relazioni da inviare al Tribunale in vista dell'adozione definitiva. Le relazioni sono redatte per verificare che non ci siano problematiche in famiglia volte a snaturare il senso dell'adozione.
Il percorso che i genitori di Maria hanno affrontato per arrivare a lei è stato lungo, si potrebbe velocizzarlo? Loro hanno fatto una domanda di adozione cinque anni fa, in realtà potevano essere chiamati alla fine del terzo anno, ma le procedure sono diventate molto lunghe,perchè è aumentata la domanda da parte delle coppie.Ma questo non è del tutto positivo perchè la maggior parte di esse mette diversi paletti: il bimbo lo vogliono sano, neonato, senza rischio giuridico. Il rischio giuridico vale per tutti i bambini, perchè nell'anno di pre-adozione la famiglia naturale può tornare sui suoi passi e cercare di riavere il bimbo.Spesso i genitori non lo sanno come non sanno che la legge prevede delle fasce d'età per l'adozione, che destina i neonati alle coppie giovani e così via.Allora ogni volta che il tribunale chiama secondo la lista ci sono dei rifiuti netti in vista di leggeri/medi/alti handicap o per l'età dei bimbi da adottare. Intanto il tempo passa e i bimbi restano in attesa. I primi a riflettere sull'adozione dovrebbero essere gli stessi genitori che prima di mettere in moto tutto l'iter dovrebbero conoscere meglio se stessi e il percorso da affrontare.
A livello legislativo cosa si potrebbe fare per agevolarlo? Qualcosa si potrebbe evitare. Ad esempio negli ultimi anni c'è il tentativo del Tribunale di applicare la legge del "recupero" genitori naturali. Spesso fatta presso il Sert dove esistono realtà di abbandono fra le più dure. E' sostenuta dagli avvocati dei genitori naturali, i quali ritengono che in molti casi non sia stata data alla famiglia di origine la possibilità di recuperarsi. Il recupero quasi sempre è provvisorio, la maggior parte delle volte appena riavuti i figli ricominciano i problemi di dipendenza da alcool e droghe. Intanto il tempo passa e i bimbi subiscono ancora violenze e al controllo dell'assistente sociale vengono nuovamente affidati ad una casa famiglia diversa e ricominciano tutto di nuovo. Poi, finalmente si apre la procedura di abbandono, ma le conseguenze sono in ogni caso altre ferite che non si rimarginano facilmente e restano sulla pelle. Questo tentativo da parte del Tribunale e voluto dagli avvocati dovrebbe essere valutato con molta attenzione. Ricordando che tutto passa attraverso l'anima e la psiche dei bimbi.
Burocrazia agli sgoccioli, mani che si stringono, baci che schioccano, lacrime d'emozione che cadono.Questa è la realtà di una casa famiglia quando uno dei piccoli folletti si appresta ad iniziare il suo viaggio verso il futuro. Giorno dopo giorno, si cerca di ricostruire con amore la vita di ognuno dei bambini affidati. Si ricrea per loro un ambiente sano e decoroso. Si affrontano percorsi impervi e giudizi spesso francamente falsati e viziati da quello che le televisioni propongono per mera legge di audience. Prima dei giudizi spesso ipocriti, bisognerebbe porsi le domande giuste e conoscere sul serio di cosa si sta parlando.
Anche oggi, come ogni volta, mi rendo conto che i bambini sono tutti uguali e che quando si realizza un progetto d'amore, la felicità non ha eguali.
PARLERO' DELLA SUA STORIA E CI PASSEGGEREMO INSIEME.
L'Arco di Traiano l'ho messo all'inizio perchè da sempre è il simbolo della nostra città.
Fatto costruire dal Senato romano tra il 114 ed il 117 d.C., è certamente il più imponente e suggestivo tra gli archi della romanità costituendo, sia per le proporzioni armoniose che per la bellezza e varietà degli altorilievi distribuiti sulle due facciate, una delle opere più rappresentative della scultura romana nel mondo.La scelta di Benevento come luogo dell'erezione dell'Arco è data per indicare l'inizio della nuova via Traiana, che accorciava le distanze della vecchia via Appia da Roma a Brindisi.
Maleventum si chiamava così.
Florido centro della civiltà sannita e come tale la incontriamo nella storia, in occasione della memorabile sconfitta che i Sanniti inflissero alle Aquile Romane nella Battaglia delle Forche Caudine.
Quando però le Legioni Romane riportarono una vittoria grandiosa sull'esercito di Pirro, il nome fu trasformato in Beneventum a perenne ricordo del lieto evento.
Entrata in orbita romana, nel corso dei secoli si arricchirà e abbellirà di importanti edifici pubblici dei quali restano tracce cospicue, dal Monumentale Arco di Traiano in alto, al Teatro Romano.
Quante corse ho fatto tra questi archi e i gradini all'interno, quante volte ho bigiato rifugiandomi qui dove respiravo libertà e storia.
Alcuni dati ci dicono subito la grandiosità e l'importanza di questo monumento che, iniziato sotto l'imperatore Adriano e terminato sul finire del II secolo, ha un diametro di circa novanta metri e tre ordini di arcate.
Di queste, purtroppo, sono andate perdute quelle degli ordini superiori mentre in buono stato di conservazione si presentano la scena, oggi restaurata, la cavea e gran parte del primo ordine.
La caduta dell'Impero Romano segna un periodo di decadenza per la città che tuttavia assurge a nuova fortuna sotto la dominazione dei Longobardi;
questi ben comprendendo la posizione geograficamente strategica, vi si insediarono e ne fecero la capitale prima di un Ducato e poi nell'VIII secolo con Arechi, di un principato esteso a tutta l'Italia meridionale.
La città, di questo periodo conserva, quasi intatta la cinta muraria buona parte dell'impianto urbanistico, con importanti emergenze quali la Cripta del Duomo, la Chiesa di Sant'Ilario a Port'Aurea e la splendida Chiesa di Santa Sofia che, inaugurata nel 762, rappresenta l'unico esempio di fusione tra la cultura romana e quella barbarica.
Questa chiesa è Patrimonio dell'Unesco.
Questa chiesa rappresenta tutta la mia infanzia.
Era la mia parrocchia e il coro era il mio coro.
Il parroco il mio insegnante di religione.
Le catene della fontana davanti con l'obelisco luogo di gioco, di ritrovo e di risate.
Indimenticabile.
L'interno a sinistra è molto originale: al centro sei colonne forse prelevate dall'antico tempio di Iside ormai scomparso voluto dall'imperatore Domiziano, sono disposte ai vertici di un esagono e collegate con un arco alla cupola.
Ci sono dei giochi prospettici che lasciano senza fiato.
A destra invece, lo splendido chiostro del monastero di Suore benedettine che sorge a fianco.
Alla fine dell'XI secolo Benevento passa dal dominio longobardo alla Chiesa (Leone IX aveva ottenuto la città da Arrigo II in cambio di censi sulla città di Bamberga parliano di baratto insomma) il cui dominio, protrattosi per otto secoli dura fino al 1860.
La lunga dominazione pontificia fu interrotta da piccole parentesi temporali, vorrei solo ricordare la conquista della mia città da parte di Federico II e di Manfredi, suo figlio, che vi trovò la morte il 26 febbraio 1266 combattendo Carlo D'Angiò.
Questo episodio viene ricordato da Dante nella Divina Commedia.
Del periodo pontificio abbiamo il Duomo del XIII secolo, con la bellissima facciata romanica, conservata miracolosamente illesa dopo i bombardamenti del 1943, le porte di bronzo e la Rocca dei Rettori, sorta nel 1321 sui resti di un acquedotto romano e di una struttura militare longobarda.
Fu sede dei Rettori Pontifici e poi della delegazione apostolica.
La cattedrale a sinistra, fu ricostruita nel dopoguerra.
Con la facciata e le porte bronzee resta dell'opera originale il campanile, sul cui lato orientale si osserva il famoso bassorilievo che raffigura un cinghiale stolato e
nel quale viene dagli abitanti identificato il cinghiale di Caledonia tanto caro a Diomede, mitico fondatore di Benevento, facendone quindi lo stemma della città.
L'opera appassionata di ricostruzione voluta dal cardinale Vincenzo Maria Orsini, poi divenuto papa Benedetto XIII, al quale si deve l'introduzione di notevoli modifiche nell'edificio fu vanificata dalla distruzione avvenuta durante la Seconda Guerra Mondiale.
L'atmosfera originale di grandezza si è un po' persa, ma resta uno dei miei luoghi del cuore perchè è proprio in questo posto che mi sono sposata vent'anni fa.
Il 25 ottobre 1860 dichiarato decaduto il governo Pontificio, entra nel nuovo Stato Italiano come capoluogo del Sannio.
Altro monumento di estrema importanza è il Museo del Sannio, classificato tra i "Grandi Musei D'Italia".
Una eccezionale serie di reperti e di opere databili dall'età preistorica ed interessanti di tutte le epoche storiche per quanti vogliono avere una idea compiuta, un quadro d'insieme della storia del Sannio.
Ricca e suggestiva, in particolare, è la raccolta di sculture dell'età romana tra cui spiccano le sculture delle divinità egizie che insieme ai due obelischi, uno nel Museo stesso, l'altro in Piazza Papiniano, testimoniamo l'esistenza di un culto di Iside con il tempio a lei dedicato.
Completa il Museo una pinacoteca ricca, tra l'altro, di preziose opere del '700 e dell'800 napoletano.
Potrei continuare all'infinito perchè quello che vi sto raccontando è solo una milionesima parte delle meraviglie archeologiche è storiche dalle quali sono stata circondata fin dalla nascita e che ho respirato.
C'è però una chicca su di una leggenda che da sempre è radicata profondamente, qui.
Sembra che debba le sue origini ad un fatto storico o meglio ad un rito legato alla propria religione, praticato dai longobardi, che usavano riunirsi intorno ad un noce consacrato al dio Wothan in una località vicina a Benevento.
Ecco dunque il noce di Benevento intorno al quale i Longobardi intrecciavano caroselli montando al contrario i loro cavalli e tentando di strappare dai rami le pelli di pecora che vi erano state votivamente appese.
Dopo la conversione dei Longobardi, qualche nostalgico continuava questi riti in alcune notti per non essere scoperto ed ecco che, nella fantasia popolare, il volteggiare dei cavalieri si trasforma nella ridda delle streghe.
Nasce così la leggenda di Benevento quale luogo di riunione delle streghe di tutto il mondo che, in determinati periodi dell'anno, si davano appuntamento per compiere i propri riti ed invocare il loro signore.
Direi che però un velo di magia non ci sta male e noi femmine beneventane amiamo molto lasciare che ci ricopra sempre un po'.
Oggi sarebbe più giusto dire "Benevento città dello Strega" come luogo di produzione del famoso liquore noto e diffuso in tutto il mondo.
Vi lascio con una canzone ed un artista che tanto mi ricordano la mia terra.
La ragazzina ribelle e un po’ maschiaccio che sbatteva i piedi a terra e si ribellava alla decisione della madre di festeggiare il Natale un po’ in sordina, mi aveva conquistato all’istante.
Avevo 5 anni e mezzo, sapevo già leggere e il regalo di Natale portato dalla mia madrina, era appunto questo libro insieme al “Circolo Pickwick” di Charles Dickens.
Naturalmente era la versione per ragazzi, non sono stata un piccolo genio.
Da grande poi, la mia passione per il ciclo creato dall’autrice americana, mi ha portato a comprare la versione integrale e completa dei romanzi.
Il mio sogno era essere esattamente come lei, a dire il vero da bimbetta le assomigliavo abbastanza, ma non avevo la battuta pronta come lei e la sua grinta nell’affrontare ogni situazione.
Ero leggermente più dolce e timida.
Ho amato quel libro profondamente.
Mi sono immedesimata in lei quasi completamente, era la mia eroina.
Mi sorprendevo a sognare ad occhi aperti, di vivere le sue avventure, e già allora sognavo l’America.
La provincia però non mi attraeva, preferivo la città NYC dove si era trasferita nel secondo libro, quando cercava di sfondare come scrittrice.
Lei fece la scelta di tornare a casa, e il suo amore la raggiunse lì.
Dei romanzi, che sono una trilogia, hanno fatto diverse trasposizioni cinematografiche.
La prima versione è del 1933, nella parte di Jo c'era una strepitosa Catherine Hepburn.
La seconda del 1949, forse la più famosa, la versione che ci ripropongono sempre a Natale, quella con June Allison, Vivien Leigh nei panni di Meg e soprattutto Elisabeth Taylor nella parte di Amy.
La terza e' del 1994, la versione più femminista.
Un cast eccellente da mamma March interpretata da Susan Sarandon, a Kirsten Dust nella parte di Amy a Winona Ryder nella parte di Jo.
E uno spettacolare Christian Bale nella parte del romantico Laurie.
Io, poi mi sono trovata davanti allo stesso bivio, dovevo scegliere e decisi diversamente.
Non mi sono pentita, ma la mia casa e la mia famiglia mi mancano.
Sempre di più, con il passar del tempo mi accorgo che ho realizzato tante cose nella mia vita, ma ho perso tante altre.
Veder crescere i miei fratelli, poter condividere le loro esperienze e consigliarli, accompagnare i miei genitori nei lento e dolce cammino verso la vecchiaia, tutte le feste familiari a cui non sono stata presente.
I loro momenti di felicità e i loro momenti di sofferenza.
Sono stata quasi sempre lontana.
Ho perso tanto della mia vita e della loro.
E questa sera che sono particolarmente triste perchè vorrei tenere stretta la mano di mia madre per farle sentire quanto la amo, rifletto sulla scelta di Jo che all’epoca della lettura non avevo capito, mi chiedo se non avesse avuto ragione lei.
Home sweet home.
La casa è lì dove è il nostro cuore, ma talvolta non è abbastanza.